Il Sentiero di Anna
Credo ci siano stati giorni in cui ero felice. Li conto sulla mia mano, insieme ai minuti, agli istanti dilatati come bolle. Era giugno ed io mi scoprivo bella, mi bastava mettere un paio di sandali con lo smalto rosso per essere grande. Erano i primi sandali, quelli che sapevano ancora di peccato e di trasgressione, quelli che quando li indossi e cammini credi che tutti stiano guardando te.
E tu mi guardavi, giocavi con la mia caviglia.
Arrossivamo.
Era desiderio quello che sentivo sprigionare dai miei occhi? Brillavano così tanto che avevo paura di accecarti. E’ vero quello che raccontano ora lo so, l’amore rende più belli. Non l’avevo mai creduto io, spirito malinconico e autunnale e neanche allora credevo che quello fosse amore. Assaggiavo felicità nuova la notte mentre attraversavo la città per vederti. L’aria sapeva di buono, ogni cosa sapeva di buono, ed io tremavo perché era troppo per me da sostenere. Me ne sono stata lì a lungo, al riparo della tua ombra e le nostre notti ora le ricordo come un sogno, l’unico rimasto puro prima della devastazione di dolore che ne è seguita. Ma lì ero ancora una bambina, lì non era il tempo della sofferenza, del rimpianto, dell’abbandono. Lì camminavo su un terreno minato come in un prato fiorito.
Era il periodo di “Turandot”, quasi ogni sera in Scala sullo stesso palco a pochi metri di distanza riascoltavamo Puccini. Credevo di morire a volte, me ne stavo lì con la mia parrucca nera e il chimono e tu qualche gradino più su. Non potevo voltarmi, come Orfeo con la sua Euridice non potevo voltarmi, ma io sapevo che eri lì. Ogni nota la assorbivo e la mandavo a te, io ero diventata musica solo per te. E credevo ancora di morire quando ci incrociavamo in quegli stretti corridoi sotto il palcoscenico, sorridevo, ti guardavo e sorridevo solo. Non sapevo cosa farci con quella felicità, non la conoscevo, mai l’avevo conosciuta quella presenza nel corpo, quella ricettività al mondo, quel costante essere viva.
Avrei voluto trovare un angolo dove rifugiarmi. Avrei voluto scappare dai tuoi occhi.
Così una notte sono andata via. Non era ancora l’alba e tu eri accanto a me. Dormivamo abbracciati e tu mi avvolgevi con le tue braccia. Sono scappata via. Sul motorino sentivo i primi cinguettii dell’alba e l’aria fredda. Sono andata via senza motivo. Senza motivo mi sono sentita stanca, stanca di essere felice , così stanca che mi faceva male . Ma neanche allora capii che avevo iniziato ad amarti. Semplicemente mi allontanai da quella felicità, da quel fragore nel petto. Facemmo l’amore l’ultima volta sul mio divano dopo una notte di parole, perché così avevo deciso e poi piansi davanti a te per la prima volta, con i tuoi occhi conficcati come spilli nella carne. Ti ho accompagnato alla porta e ti ho guardato allontanare giù per le scale. Quello è stato il mio addio.
Credo ci siano stati dei giorni in cui ero felice. Li conto sulla mia mano, insieme ai minuti, agli istanti dilatati come bolle. Sono stati i nostri giorni, quelli in cui altro non ricordo, se non il profumo della mia incoerenza.
Diari di Anna Elisa Albanese, Giugno 2001