di Roberto Sicuteri
Da: Atti del V Congresso nazionale Cida, Venezia, 1985
Quando ho ricevuto il gentile invito del Cida a partecipare a questa Convegno Nazionale, non ho esitato ad accettare: la formulazione del tema mi aveva subito stimolato, suscitandomi un gran numero di fantasie su come affrontarlo e come sviluppare un tema così attuale e vasto oltremodo impegnativo.
“Astrologia fra teoria e pratica” – titolo apertissimo e davvero inquietante.
La mia attenzione si è decisamente concentrata sulla proposizione, su quel fra che ha finito per diventare, nella mia riflessione, una specie di ponte – questa -era anzi l’immagine che affiorava: un ponte misterioso, aereo e mobile, oscillante su un gran vuoto, proprio come quei ponti di legno e cordame, che i film ci mostrano sospesi fra due altissime rupi.
La teoria astrologica da un lato e la pratica astrologica dall’altro lato.
E’ sulla barra della frase che mi sono fermato: non sapevo né volevo tornare sui bordi della formulazione. Il fra è così diventato un momento di stallo, direi: una impasse. Curiosamente, sentivo tutta l’importanza di fermarmi lì, in mezzo al ponte, nella cesura che separa le due sponde.
E ovviamente, abituato a seguire le concatenazioni immaginali, ho lasciato che la situazione in cui il titolo del tema mi poneva, mi rivelasse prima o poi il suo significato.
E dalla preposizione fra – connotativa di uno spazio enorme, psicologico e semiologico – mi è venuto, come prima risposta, il titolo della mia relazione: “L’oroscopo come reale psichico e vissuto cosciente”. Sul momento mi è piaciuto – perbacco, mi sono detto, fa un bell’effetto! -. ma c’è voluto poco tempo perché affiorasse una certa ansia mista a stupore: scoprivo una somiglianza fra i due titoli. Ciò confermava l’importanza nascosta del tema scelto dal Cida! Subito dopo questa accertamento, ho compreso che il ponte, sospeso fra due sponde così enormi, si rivelava un passaggio poco agevole: tutt’altro che un transito disinvolto e privo di pericoli. Ripeto: tendevo a immobilizzarmi perché accadeva ancora qualcosa. Si verificava – questa volta nel mio titolo della relazione – un movimento: la mia e di congiunzione posta fra reale psichico da un lato e vissuto cosciente dall’altro, non era più stabile né sicura di sé! Vibrava quasi nel sciorinarmi un bel diniego : – Io non ci sto! – pareva dirmi la e, con tutta l’aria di eclissarsi. Pensate un po’: in una simile evenienza il titolo diventava: “L’oroscopo come reale psichico vissuto cosciente”.
In tal caso, non stava in piedi: c’è una saturazione e un accumulo linguistico. Manca il passaggio, manca la barra. Quanto dire allora, che il ponte sparisce e il titolo del Cida, a sua volta diventa: “Astrologia teoria e pratica”.
Ma che strano, mi sono detto ancora: proprio come si legge nel frontespizio dei Trattati o nella locandina dei corsi accelerati: astrologia – teoria e pratica in venti lezioni.
Eppure, io ero rimasto lì, fermo nella preposizione fra, cioè sul ponte oscillante. Come ero rimasto inchiodato sulla e! Che significa tutto questo ?
Scusate la lunga metafora e il gioco psicolinguistico che mi son concesso, ma certo avete già compreso dove voglio arrivare: a ri-formulare i due titoli, per ri-provocare l’ansia e la riflessione. Eccoli:
“Astrologia come teoria o pratica”.
“L’oroscopo come reale psichico o vissuto cosciente”.
Così mi spiego l’ansia e la lieve acrofobia patite da me, a trovarmi sospeso e fermo su quel ponte: o stare di qua oppure andare dall’altra parte. O teoria o pratica.
Ma perché metterla cosi? Pare logico che dalla sponda teorica si passi a quella pratica, senza aut-aut. Ma quella preposizione fra diventa troppo sospensiva. A mio avviso essa lascia cadere una barra di stasi, un punto interrogativo inespresso ma presente, oppure annunzia un possibile modificarsi dell’enunciato contenuto.
Non fonda una contiguità agevole né permette un comodo andirivieni.
Lungo il percorso della frase, esattamente nel punto della preposizione fra, accade qualcosa. Accade nel passare dalla teoria alla pratica. Accade un qualcosa che si interroga e ci interroga: almeno come addetti ai lavori.
Anzi: in quel fra – può accadere di tutto.
Ed è per tale motivo che ho dovuto chiarirmi in senso ermeneutico il titolo del tema propostomi.
Con quanto dirò, non penso di rispondere a nulla e semmai lascio interrogativi, per riempire quel percorso, quel punto di transito fra teoria e pratica, con alcune riflessioni psicologiche. Credo che sia per me la collaborazione più utile al tema del convegno.
Un primo chiarimento o sviluppo verrebbe dal lasciare implicito un maggiore spazio nella formulazione:
“Astrologia: teoria e/o pratica? ” (notate l’interrogativo) L’oroscopo, reale psichico e/o vissuto cosciente?”.
Se riflettiamo, non è un bizantinismo. Vi chiedo di seguirmi.
L’astrologo è immerso – spiritualmente e psichicamente, o meglio: con tutto sé stesso – nell’universo di questa disciplina millenaria che di volta in volta prende significati diversi, uno più bello dell’altro: da riflesso del divino cosmico a relazione sincrona uomo-cielo; da fenomeno fisico quantificabile e statistico, a codice di significazione filogenetico iscritto nel corpo; da pratica mantica esoterica a manifestazione astrofisica bioritmica. E potremmo seguitare. Ma per sé, l’astrologo sa di partecipare a una esperienza profonda, spesso avvertita come inspiegabile, numinosa, insituabile nelle categorie del pensiero, insospettabile negli ambiti dei processi logici, affascinante sprofondamento nell’immaginale, vera al punta da invadere acriticamente la ragione.
Ma poi, di tutto questo patrimonio che è una oggettività soggettiva, di tutto questo sapere, l’astrologo ne fa uso, nella fattispecie professionale, in molti casi a dir poco avvilente, diluito, impoverito, ridotto a involucro e stereotipo, a pratica divinatoria smaccata, a furiosa fuga in avanti, per rubare il Futuro agli dei e al Fato; per saziare una bieca aspettativa affettiva.
Spesso l’astrologo è costretto – dinanzi al cliente – a soddisfare richieste astruse o coatte osservazioni onnipotenti. Pare, a me, di ascoltare talvolta un Capostazione assillato da viaggiatori impazienti:
“Quando passa Saturno?” – “Giove c’è già sul mio Sole?” “Quando transita questo benedetto Urano: aspetto l’eredità!” “C’è in vista un buon transito, per domani, o no?”
“Giove è già passato, ripassi fra dodici anni“.
Purtroppo, su scala di massa, siamo alla barzelletta e l’astrologia viene fornita così, riduttivamente, per intuibili motivi che è meglio tacere. Anche questo fenomeno, mi sembra, giustifica la perplessità che acutamente il Cida ha buttato dentro la frase tematica.
E verrebbe, allora, la tentazione dell’aut-aut. O teoria o pratica. Perché la seconda avvilisce la prima; mentre la prima può dare tantissimo al soggetto soltanto se la mantiene come sapere interiorizzato o addirittura iniziatico.
A questo punto possiamo giustamente riflettere su quanto avviene ancora nel percorso dalla teoria alla pratica: per esempio, sulle trasformazioni che subisce la comunicazione astrologica, sia come linguaggio, sia come consegna di un messaggio al cliente, sia come esperienza di rapporto significativo fra due persone.
Voi sapete che ogni psicoanalista ha un suo certo modo di essere e di verbalizzare quando è in seduta – quando cioè pratica l’Analisi. E che ha un modo di essere e verbalizzare assolutamente diverso invece, quando parla o scrive dell’Analisi, sull’Analisi, o indaga per conto proprio su una riflessione analitica. Persino scrivendo di storie pratiche analitiche, l’analista sa che la materia, il dettato esperienziale gli si trasforma, diventa altro.
Questo accade perché c’è scambio di linguaggi.
Ed è una ragione fra tante, per la quale non si dice né si scrive di persone in analisi, salvo infilare il corridoio della riduzione a discorso razionale casistico-diagnostico o peggio. Per l’astrologo – poiché egli lavora sullo psichico (ripeto a tutte lettere: lavora sullo psichico!) – avviene lo stesso fenomeno. O almeno dovrebbe!
Mi pare dunque evidente che queste riflessioni ci suggeriscano di cominciare a fare ordine nel problema del linguaggio astrologico, della comunicazione fra astrologo e cliente.
Roberto Sicuteri
L’astrologia è un sapere scientifico come lo sono la Chimica, l’Anatomia o l’Ingegneria Idraulica, O no? Penso che siamo la maggioranza a rispondere no.
Impariamo da Jung, che ha tanto rispettato l’astrologia, a essere integri e onesti intellettualmente e saldi nella obiettività critica. Eppure, mentre viene negata la scientificità, sono io il primo a sostenere che l’astrologia – nel mundus immaginalis del soggetto, come linguaggio simbolico energetico funziona. Non so come, ma funziona. Non so quanto, ma funziona. Non so quando, ma funziona.
E più è sperimentata fra inconscio e cosciente, fra veglia crepuscolare e sogno, più l’astrologia funziona.
Se la vediamo nella pratica – specie nel vizio dissennato della divinazione previsionale – l’astrologia spesso fallisce. O dice altro; produce chimere o pericolose autosuggestioni. E sui fallimenti l’operatore applica sempre il diniego, come se niente fosse stato!
Medito sugli oroscopi che mi vengono narrati.
Dicono: Tizio ha la vita per uno-due anni. E invece Tizio vive sano da oltre dieci anni dalla previsione.
Dicono: Quell’amore non durerà un anno. E invece la signora si gode il suo amore benedetto; da tanti anni.
Dicono: Verrà il meglio fra due mesi e arriva invece nulla. Dicono: C’è un periodo di introversione e isolamento. Quello invece va addirittura a fare comizi.
E tuttavia ci sono anche previsioni che fanno centro in modo davvero sbalorditivo.
Rileggevo nelle settimane scorse l’oroscopo di Craxi compilato da Ciro Discepolo e sono rimasto a bocca aperta per l’impressionante carattere profetico della sua analisi. Scritto nel 1979, l’oroscopo di Craxi parla di potere, di arabi, di antipatie col partito repubblicano. Sembra uno di quegli oroscopi costruiti a posteriori tanto è veritiero e attualissimo!
Malgrado questa oscillazione, dunque,- prove sì, prove no ¬l’astrologia teorica sta da una parte e la pratica dall’altra. Io ho incontrato l’Astrologia nel corso della mia analisi personale e l’ho vissuta come esperienza psichica: come emersione improvvisa di costellazioni archetipiche mai del tutto spiegabili, che mi ha portato dinanzi a un regno mai conosciuto prima.
Regno da cui entrato non sono più uscito. Oggi vivo l’astrologia come un mistero preconscio soggettivo e come nucleo energetico archetipico operante in me quasi come i sogni o l’immaginazione attiva. Ma è una astrologia sempre più inibita alla morte esterna, cioè la pratica in relazione all’altro. Ma è impossibile pensare o sentire l’oroscopo sul piano matematico-statistico-casistico. Ho forti dubbi sulla funzione previsionale per le ragioni che ho detto, ma anche per una onestà di atteggiamento, che mi viene dal vedere costantemente all’opera la psiche correlata al destino umano, che non si lascia·circoscrivere mai: né dalla astrologia né dalla psicoanalisi.
La ragione positivista ci piega a strane e invereconde certezze, ma la psiche, realtà incommensurabile non si lascia né piegare né delimitare da nulla: neppure dal soggetto che la porta in sé!
Non mi si fraintenda: i miei dubbi si fondano non già sulla mancanza o scarsezza di prove scientifiche relative alla lettura oroscopica, altrimenti sarei in contraddizione; i dubbi, bensì, sono l’espressione di una non chiarita ricerca sul processo simbolico astrale e la sua applicazione convincente al linguaggio simbolizzato reso cosciente, “per parole”.
Per me non si tratta di credere o non credere all’astrologia: essa è. Ritengo ridicoli gli artifizi logici per farla sparire. Far sparire psicologicamente un oggetto o un dato essente nell’uomo, riguarda la psicopatologia o esprime una povertà di pensiero e parzialità di indagine. Ciò che è, esiste, di per sé. E questo soltanto è rispettare lo psichico e lo spirituale. Il resto è mere parlare parole.
Vedete che delimito – con premeditazione – la pratica, e amplifico lo spazio della teoria. E ancor più sono tentato dall’aut-aut!
Come esperienza interna e linguaggio simbolico preverbale, l’astrologia parrebbe escludere o porre in dubbio una traduzione pratica costante, perché non è un discorsetto facile – se pensiamo bene – far passare un linguaggio simbolico che è muto, analogico, al di qua della ragione; fortemente simbolizzato anche per segni e psichico fino al limite dell’archetipico mitologico – farlo passare, dico, nel campo del linguaggio semantico razionale che è dominato dalle funzioni dell’Io, ovvero del conscio e della ragione!
Questa disinvolta traduzione linguistica ci espone al rischio di quella che Ugo Volli chiama “retorica delle stelle”, parlando semiologicamente. O al rischio di de-lirare: uscire dal solco.
Qui sta la grande questione per l’astrologia che il tema del Cida ha positivamente adombrato.
Del resto, il problema dei due linguaggi, del simbolico e del simbolizzato, del dentro-fuori, del soggettivo-oggettivo transpersonale eccetera, investe oggi drammaticamente la stessa psicoanalisi freudiana, ma assai meno la psicologia junghiana e ancor meno che mai la psicologia archetipica di Hillman.
Ritengo perciò l’astrologia un fenomeno psichico in senso forte, la cui sistemazione e traduzione in un sistema linguistico comunicativo-rappresentativo connotante il vissuto cosciente (cioè a dire l’oroscopo disegnato e parlato), deve oggi farci riflettere duramente e capire se non richieda più approfondite indagini, o revisioni o addirittura prudenti limitazioni. Quale filo ho seguito per giungere a tutto questo?
Innanzi tutto la personale diffidenza ad accettare l’esistente o l’andazzo, come dato e usato da sempre.
Poi, vedendo l’astrologia come un mito dell’uomo, una proiezione strutturata, poi come costellazione di archetipi sincronica e infine come uno dei linguaggi simbolici possibili che l’uomo ha mirabilmente creato quando era in relazione cosmica con il Tutto – cosa questa per noi oggi oramai incomprensibile e indecifrabile perché è un rimosso, ma il linguaggio ha ancora una sua fresca violenza simbolica.
Infine, ho rintracciato, nei miei modesti limiti, tutto il percorso psichico di Jung compiuto per giungere dal simbolo psichico all’astrologia; viverla appassionatamente eppoi consegnarcela con un fondamentale interrogativo, al quale noi astrologi e psicologi non abbiamo ancora risposto.
L’oroscopo: evento acausale oppure sistema di nessi fra rapporti casuali? Oppure entrambi insieme?
Eppoi: l’esperienza astrologica funziona sempre oppure soltanto quando si registra uno stato psicologico eccezionale, commotivo-emozionale che libera cariche affettive, attiva masse energetiche di valenza archetipica così creando il simbolo e la para la-idea simbolizzante?
Gli interrogativi non finirebbero più.
Che l’astrologia sia un linguaggio simbolico e andrebbe ricondotta seriamente nell’ambiente del discorso simbolizzato, mi pare inconfutabile: basta analizzare per divertimento, un dialoghetto verosimile di questo genere: A. incontra l’amico B.
A: Che piacere incontrarti! Come va, tutti bene a casa?
B. Si, tutti bene, io un po’meno… Ho proprio ora una quadratura di Saturno al Sole e questo per tre mesi buoni!
Non scherzo. Ditemi dove e come sistemiamo questa linguaggio. A. si esprime logicamente in uno spazio-tempo riferito e ben centrato nella relazione interpersonale, mentre B. risponde per metà logicamente e riferito, mentre per altra metà opera un salto linguistico e psichico a dir poco metonimico, andando fuori del vissuto cosciente spazialmente riferito e non più interpersonale, bensì riportato alla propria oggettività soggettiva.
B. verbalizza dunque una condizione o un evento simbolico che rende simbolizzato non solo il parlato, ma anche il suo male per colpa di Saturno.
Preso così, pare dunque un linguaggio scisso. O bisogna ritenere B. consapevole di un vissuto comunicativo schizoide, che tuttavia è utile alla sua economia psichica o alla sua nevrosi. Certo, con Lacan potremmo accettare questo dialogo come la prova provata che siamo in presenza dell’inconscio che si esprime magnificamente in B.
Un semiologo analista direbbe forse che B. è vittima di un disturbo della comunicazione. Lascio a voi altre deduzioni. Allora risulta chiaro che ciò che è simbolico resta simbolico; ciò che è logico-razionale resta tale. Un passaggio non avviene senza pugni e ferite. Un passaggio disinvolto dal simbolico al razionale ha per effetto immediato di rendere nullo il simbolico e astruso o straniante il razionale. Il simbolo, passando nella parola, quasi sempre perde la sua potenza e muore; si riduce a parola.
Il passaggio dal razionale al simbolico è tipico della psicosi, dell’arte e delle esperienze religiose e iniziatiche.
Carl Gustav Jung visse inizialmente l’astrologia in una evidente condizione psicologica archetipica, preziosa e complessa, anche per lui temibile, che rendeva però estremamente ricettivo all’eruzione del suo inconscio. Non posso qui dilungarmi purtroppo a illustrare questa sua condizione interna-esterna che resta il capitolo più affascinante della sua vita. Dico solo che in quel periodo gli si rivelò la realtà dell’archetipo, e concettualizzò la funzione simbolizzante estesa all’inconscio collettivo.
Tutto questo, mentre scriveva sulla Libido come simboli e trasformazione attraverso le fantasie schizofreniche di Miss Miller e viveva – da un lato – affettivamente il grande rapporto analitico e umano con Sabina Spielrein, sua paziente con la quale ebbe per la prima volta la rivelazione della psiche archetipica; e così intensamente da fargli dire più tardi che senza l’esperienza con Sabina, il mondo degli archetipi gli sarebbe rimasto escluso. Dall’altro lato, stava preparando la separazione ardua da Freud.
Jung ha sempre sostenuto che il simbolo esprime costantemente qualcosa di ignoto, qualcosa di cui non si può parlare facilmente. E che l’attività simbolica è anche una continua trasformazione del simbolo stesso e dei suoi effetti. Sul piano semantico esso è sempre fluttuante rispetto a ciò che vuole significare. Jung svincolò decisamente il simbolo dal linguaggio verbale e le sue leggi, per crearne un linguaggio altro, che definì come “figurato, analogico e muto”.
“Nel regno del simbolo – afferma Jung – cessa il significato stabile delle cose”.
Se Freud delimita la funzione simbolica a esprimere contenuti rimossi e solo di matrice sessuale, Jung squarcia tali confini e restituisce al simbolo una immensa libertà creatrice, in una funzione inesauribile, prossima all’idea di Libido o vita-che-si-crea.
Jung vide che l’oroscopo, attraverso questa ottica, funzionava. Fece quegli esperimenti statistici sulle coppie che ci sono noti; passò – diremmo noi – dalla teoria alla pratica con gran fervore. Ma dopo un certo tempo egli entrò in crisi con questa astrologia. La sua integrità morale e intellettuale gli impose una pausa e una rimeditazione dell’applicazione pratica astrologica. Vide che i risultati non erano probanti né affidabili. Scarse le prove sincroniche. Un dubbio enorme lo colse poi quando si avvide che l’operare astrologico – come linguaggio – si trasformava mano a mano che lo applicava agli esperimenti pratici, perdendo di intensità, di peculiarità psichica, proprio con il venir meno della condizione eccezionale emotiva e lo stato crepuscolare conscio, così necessario per aprirsi alla posizione archetipica, che lui chiamò: “abaissement du niveau mental”. Funzione e linguaggio simbolici non parlavano più non rivelavano più l’inesprimibile, una volta trapassati nella verbalizzazione controllata dall’Io. Si avvide che questa fenomeno poteva significare la morte del simbolo. Beninteso, questo valeva soprattutto, per lui, nel campo del sogno e del linguaggio psicoanalitico. Ma lo estese all’alchimia e all’astrologia. Dirò per inciso che Jung inorridì letteralmente, quando nel l909 Whilhem Stekel accennò a lui e a Freud all’opportunità di scrivere un libro sul linguaggio dei sogni e i simboli. Jung aprì una polemica e ci rimane una sua frase:
“Un dizionario dei sogni! Dio santissimo, non ci mancava che questo!”.
E credo avesse ragione perché è impossibile delimitare le valenze del sogno o inventariarle in un dizionario. L’essere umano che sogna non è un dizionario.
E questo discorso, può essere esteso ai Simboli astrologici e al linguaggio dell’oroscopo, che è, forse, anch’esso, un sogno. Jung si fermò qui, ma senza mai rifiutare il mistero astrologico. Riportò l’astrologia dentro di sé e da vecchio teorizzò ancora con grande passione, alla ricerca di una chiave. La sua ultima intuizione per spiegarsi l’astrologia – supponeva nientemeno un urgente coordinamento generale illimitato acausale, inteso come omogeneità trascendente di fenomeni psichici e fisici. Ossia: un coordinamento aprioristico di tutti i fenomeni di ogni ordine che concorrono a realizzare l’esperienza astrologica. Impresa immane, sarebbe, e non certo per noi comuni mortali! Quando Jung, morendo, lasciò insoluto l’arduo problema, l’astrologia ha cominciato a rifiorire ritrovando uno splendore inusitato. Dico a fiorire nei cuori. E proprio nella direzione da lui preconizzata.
Anche questo è un caso, spiegato in mille modi truculenti dai positivisti irriducibili, oppure è un arcano sincronismo il mago di Zurigo?
Ecco, infine, come l’astrologia si trova a fare i conti con la preposizione fra che ci ha portati tutti qui a Venezia. E siamo proprio sul ponte della metafora!
Naturalmente mille astrologi continueranno a nutrire teoria e pratica e molto più la pratica; lieti pertanto, a buon diritto, di ignorare queste riflessioni. Ma questo non ci allarma affatto: il nostro inconscio è al lavoro intorno all’opus e ben dentro il vaso ermetico. Se questo patrimonio che ci accomuna in una esperienza di amore e passione partecipatoria ha in sé un linguaggio simbolico specifico, allora stiamo di buon animo, perché l’astrologia lavora da sé; i suoi archetipi in noi lavorano da sé e creando da sé quello che ora noi non sappiamo, ma è sicuramente per la nostra felicità interiore e per il nostro godere un mistero e un sapere.
C’è bisogno di mistero come dell’aria non inquinata. Se il linguaggio astrale decide di operare in noi, lo farà con modalità numinose e indefinibili.
Non ci interessa far capire che ficcare i simboli dentro un computer è un assurdo psichico e concettuale linguistico; o che la pratica astrologica è un rischio altissimo per l’integrità teorica simbolizzante.
L’inconscio creativo; ripeto, sceglie e opera da sé, certo entro l’equazione personale della creatura. Noi dobbiamo soltanto avere il coraggio di essere psichici e aperti alla possibile rivelazione archetipica e semmai saperla poi padroneggiare.
Io concludo dicendovi che i segni in questa direzione ci sono già, strepitosi; io ne vedo già uno e vorrei che tutti i campanili di Venezia lo festeggiassero: nell’ultimo numero di “Linguaggio astrale”, la rivista del Cida, il suo direttore Sergio Ghivarello, proprio lui, astrologo professionista e cultore in un preciso ambito disciplinare, ha gettato con mia sorpresa piacevole e con sua astuta nonchalance, sotto gli occhi dei suoi lettori, quell’inquietante e demonico autore che è James Hillman, analista caposcuola a Dallas, allievo di Jung, che toglie i sonni agli analisti con la sua psicologia archetipica che va oltre Jung.
Così lavora l’inconscio! E gli astrologi si trovano ad aprire le porte del mondo infero e onirico.
Siamo d’accordo, Ghivarello: ci siamo!
Non vorrei però essere nei suoi panni. Ma ormai l’ha fatto!
Roberto Sicuteri –
Da Atti del V Congresso nazionale Cida, Venezia, 1985
Gentilmente ripubblicato sulla Pagina Fb di Grazia Bordoni : Con Grazia tra le Stelle
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