Diario astrologico
Pensieri in libertà, memorie autobiografiche: a proposito di Puer cresciuti
Conobbi il mio psicoanalista che non avevo nemmeno trent’anni, durante la formazione alla mia scuola, come Analista biografica. Ricordo che non capii molto bene le sue prime parole, o nel senso, le compresi benissimo, ma pensai che si sbagliava di certo e anzi, mi risentii anche, quando mi disse, appena poco dopo avermi conosciuta: “Forse prima o poi sceglierai cosa fare da grande, sceglierai la tua posizione precisa e non farai più tutto quanto, perché mi sembra che tu sia ancora molto adolescenziale“.
Non mi accorgevo allora di quanti interessi, e quanta carne al fuoco mettessi in ogni direzione possibile e forse mai in nessuna veramente. Di quanto non dicessi No a niente e nello stesso tempo di quanto mi sentissi comunque ancora, ed eternamente inquieta ed incolmata. Il tempo era più lento di ora, nonostante lo riempissi in ogni angolo e spazio, nulla era essenziale, e forse con altrettanta facilità, avrei potuto dileguarmi, scomparire e riapparire subito dopo. La libertà era prioritaria, anche se io non me ne rendevo conto, ma ogni mia scelta, prevedeva sempre un’uscita di sicurezza da qualche parte, una scappatoia da cui mi sarebbe stato permesso uscire, se il gioco si fosse fatto troppo duro e il prezzo troppo alto.
Non investivo mai fino in fondo anche se ero convinta del contrario, e non mi svelavo mai del tutto né mi fidavo mai profondamente, anche se io mi sentivo vera e limpida. Attiravo così a specchio della mia immagine non riconosciuta, ambiguità e non approfondimento, situazioni sospese e non fiducia, baratri di tempo diluito nelle lunghe arene di depressioni non riconosciute.
Tutto questo non lo vedevo, pensavo che fossero gli altri a non concedermi spazio, che io vivevo come distanza e rifiuto, senza accorgermi che gli altri – il mondo fuori che ci ridona la nostra anima riflessa – mi ripagava con la stessa moneta. Non volevo atterrare e cosi nemmeno gli altri sarebbero atterrati e si sarebbero fermati con me. Ero io che emanavo questo messaggio.
Il tempo era dilatato e fluido, immerso tra il risentimento di amori che non prendevano il via e sostavano nell’eternità di lutti non consumati del tutto e incombenze di un quotidiano di lavori che erano sempre il ripiego di qualcosa in cui non osavo nemmeno credere per prima. Il tempo sembrava non portarmi in nessuna svolta e non potevo accorgermi di quanto io ne perdessi, perché non ne avvertivo né l’importanza né la sostanza.
E di me?
Come potevo accorgermi di me, se nemmeno avevo una percezione anche minima di chi fossi o cosa desiderassi veramente?
Inoltre, pensavo di avere chissà quali responsabilità, quando in verità ne prendevo pochissime, sopratutto con me stessa. Ricordo ancora le parole successive del mio psicoanalista, quando mi diceva che il mio lato Puer – puella, avrebbe dovuto lasciare un pochino, non dico tanto, il posto al lato costruttivo del Senex. Anche qui io lo guardavo e pensavo, certo parla bene lui, non sa quanto sia difficile vivere per me, con il mio lato vittimistico rabbioso sempre all’erta, lui paziente come un monaco zen mi sorrideva. Lui, l’accogliente e il saggio, di cui ora non faccio nomi per la sua privacy, lui che fu mio maestro, padre e ispiratore per tutti gli anni a venire. Mi condusse sulla via della crescita senza svelarmelo mai chiaramente, io che andavo da lui solo perché volevo smettere di soffrire, invece in modo graduale, senza impormelo, ma solo mostrandomi il in cui punto ero, mi fece uscire dall’Isola che non c’è di Peter Pan, e atterrare sulla terra ferma.
Oppure mi piace anche pensarmi come nella Leggenda del pianista sull’Oceano, in cui, Novecento, il bambino cresciuto sulla nave e mai sceso sulla terra, s’innamora e per seguire la sua amata, avrebbe dovuto abbandonare quella nave.
Il luogo d’infanzia che lo ha protetto fino ad allora, dove musica e balli echeggiano, il luogo dove l’atmosfera è sempre di festa ma nessuno si ferma mai, ma non si rimane delusi né abbandonati, perché è un luogo – non luogo – un’isola, un limbo, e la vita e molto più in là, è giù dal ponte, se non più lontana ancora quando si è in mezzo ai mari. Novecento non ce la fa a scendere quei gradini e rimane fedele al suo sogno.
Io invece ho dovuto scendere quegli scalini, accettando di perdere un po’ di quella lucentezza fanciullesca che regna, solo nel momento estremo dell’inconsapevolezza. Per questo molti, e li capisco, inconsciamente e forse nemmeno troppo, rimangono al punto dove sono, anche a costo di stare per sempre nella loro nave, perché dall’altra parte c’è la vita vera, e quella a volte è faticosa.
La cosa bizzarra di allora, di quegli anni così movimentati che hanno caratterizzato tutta la mia piena giovinezza, è che poi, ed è veramente incredibile come sia vero – ciò che manifestiamo esteriormente, nasconde ben altro interiormente: dentro mi sentivo vecchia, molto più di adesso. Ero negli anni pieni della gioventù e se ci penso ora, ma nel mio animo, arrancavo non sentendomi per nulla viva. La mia corsa estrema all’inseguimento di stimoli, interessi e mondi, era proprio la mia ricerca di linfa vitale, perché in verità dentro di me non c’era.
La vita era al di là della nave e io la cercavo.
Avrei dovuto lasciare l’Isola che non c’è. E avrei dovuto contattare la mia profonda paura nel mettermi davvero in gioco. Perché sennò proteggermi così tanto laggiu, tra i bimbi sperduti?
Me ne accorgo ora, quasi quattordici anni dopo da quei trent’anni, della lunga strada percorsa. Ora il tempo ha un’altra consistenza, densa, piena e assolutamente necessaria. Ora la linfa vitale sgorga da un’altra parte, da dentro di me. Sento l’urgenza totalmente opposta ad allora, di non disperdermi in volo, ma di atterrare, sento per me l’esigenza della concentrazione – l’eliminazione del superfluo, l’ascolto vero di me stessa, la difficile conquista dell’integrità tra il dentro e il fuori.
Ora strido solo quando non riesco ad esprimere ciò che sento dentro, quando ancora devo mediare e non trovo le parole per comunicare, per non dire alcune cose che penso, perché forse non è ancora il tempo giusto. So quanto sia difficile adesso distinguere la pazienza, che è una virtù, differente dalla sopportazione, che non lo è più e si tramuta in martirio, l’empatia, che è diversa dall’assorbire tutte le energie altrui senza filtrare né mettere il giusto distacco.
Si è tramutato quel Si apparente a tutto, che diceva in verità No alla vera vita, ed ora per gioco dei contrari, ho imparato a dire tanti No, come non hai mai fatto e ne capisco veramente il valore. Ogni No, è una scelta consapevole verso la vita. Dire No a qualcosa mi definisce e dona dignità al Si, che a quel punto è autentico. Ora che son scesa dalla nave, ho dovuto approfondire, e vivere la modalità della conoscenza a livello verticale e non espandere più in orizzontale, un pezzo di mondo sognato, l’ho dovuto sacrificare.
Allora ho davvero pensato e colto, tutte quelle spiegazioni sul Dio Mercurio, sull’Hermes fanciullo racchiuso in ognuno di noi, in alcuni più accentuato, in altri più equilibrato, in altri ancora, da contattare: ecco la vera difficoltà, crescere, vuol dire non abbracciare più tutto, quel tutto che però mi permetteva di non sviluppare nulla né di radicare, ma di credere di poter rimandare questo momento: quando tutto è in possibilità e si è nel mondo del tutto che può ancora avverarsi ma non si ha scelto – laddove ancora non c’è nessun rischio. Scegliere significa avere la sensazione di perdere e sacrificare delle opportunità in nome di altre, restringere apparentemente il campo, per svilupparne uno, o poco più. Perché forse, tutto insieme, si rischia di non farci depositare mai e sia Peter Pan che Novecento, non riescono a portare l’amata nel loro regno.
Scegliere tutto, mi permetteva di non scegliere nulla. Non scegliendo nulla non investivo in nulla e quindi non rischiavo di perdere nulla. Un eterno freno tirato.
Ora ho incarnato la forma che prima era racchiusa nelle possibilità.
Chiamiamoli i transiti di Saturno che ci riconducono alla responsabilità matura verso noi stessi e la vita che abbiamo di fronte, chiamiamoli richiami dell’Anima che già sa e il nostro Sè Superiore o Sè Divino, chiamiamoli i frutti maturati negli negli anni di lacrime e analisi forzate e forzose, mentre le mie amiche si sposavano e i ciliegi fiorivano. Chiamiamolo Karma, nel senso di ruota che gira continuamente in modo ampio e immenso oltre noi, gira e premia azioni e intenzioni seminate anni e anni indietro, e insegna agli esseri umani la legge dell’Uno – La legge spirituale più antica di tutto, quella della Causa – Effetto. Quel che sono davvero si rifletterà in ciò che ottengo.
Non lo so, le spiegazioni sono infinite, ognuno dal proprio vissuto, può trarre i significati per la sua esistenza, fatto sta che questi giorni nei i mutamenti pre – primaverili che io già sento nell’aria, mi sento di ringraziare.
Quando accadono questi attimi di grazia, ogni cosa prende il giusto nome, ogni rapporto e ruolo torna nel posto corretto nel grande puzzle, ogni senso si schiude e il respiro si fa più ampio. La mia vita esterna per chi la vede pare sempre incasinata, quasi quanto allora parrebbe, anche se ho cambiato completamente i soggetti, gli oggetti, i mondi e gli affetti, ma la modalità mercuriale e frenetica, ancora fa parte di me. La differenza è sottile e non sfugge ad occhi attenti, ma è così sottile che per me è come essere in un’altra pelle e avere altri occhi.
Mi muovo con una pelle nuova, attraverso il tempo denso e la materia spessa della vita. Come nella favole, è come se avessi barattato la mia immortalità di allora, con la mortalità e la caducità dell’esistenza umana, ma proprio per questo ne sento tutto l’aroma forte e posso essere felice.
Mentre allora nel mio castello dorato, la bellezza ne nascondeva l’orrore infinito delle cose che non hanno vita e del dolore sotterraneo dei fantasmi mortiferi della paura, e segreti di principesse imprigionate nella loro sublime e sicura torre d’avorio, sole in attesa di essere liberate.
Anna Elisa
Tim Roth, La Leggenda del Pianista sull’Oceano, film di Giuseppe Tornatore
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5 risposte
È come un quadro delicato ma ben definito. Un quadro senza cornice, i cui colori parlano più dei soggetti rappresentati. C’è tanto di me…di tutte noi anime in cammino. Grazie, infinite Grazie!!
Grazie Anna Elisa,
sei meravigliosa come sempre, come sempre ti sento dentro.
Grazie, grazie, grazie.
Giulia Divya
Meravigliosa donna…. grazie <3
Cara Anna Elisa… la tua scrittura, i colori, gli umori e la vita che raccontano le tue parole mi sono così familiari…sarà la mia mercuriale “gemellarità” che risente esattamente come te del Fuoco che soffia vivo nel cielo di febbraio, sarà che abbiamo avuto la stessa Luna Leone insegnante di Astrologia:), mi hai fatto veleggiare leggera e fiduciosa con te in questa pre-primaverile aria di maturo e sognante cambiamento* Grazie 🙂
Grazie Lea… che meraviglia queste connessioni, regalano davvero tanto. un abbraccio a te. Anna Elisa