Ognuno di noi almeno una volta, si è imbattuto in quegli articoli in rete intitolati “Attrazioni tossiche tra un empatico e un narcisista”, oppure “Perché l’empatico incontra il narcisista”, e altri simili ecc. ecc. Io credo che molti abbiano potuto identificarsi in queste storie, ma chissà come per qiale motivo, mai nella parte del narciso, solo in quella di chi l’ha incontrato e ne è rimasto fortemente scottato! Se ci sono tutti questi narcisisti, dove sono, se incontriamo sempre chi è incappato nelle sue grinfie e non siamo mai il narcisista questione ? Quello che leggiamo non è che non abbia un fondamento veritiero, ma nella sua espressione sintetica, è riduttivo e mostra solo una mezza verità: il concetto di vittima e carnefice. Il cosiddetto Narcisista diviene il male supremo, e chi ci incappa in lui, la vittima innocente. Ma come mai incontriamo un narcisista (sempre sia corretto definirlo tale)? E come mai così tanto se ne parla in questi anni?
L’argomento merita degli approfondimenti per non ridurci a etichettare il Narciso come un mostro e il cosiddetto “Empatico”, come qualcuno incastrato nella sua tela di ragno. Non è esattamente così. So che è una rassicurazione per molti di noi, vedere il problema fuori e dare a chi ci ha fatto soffrire, una definizione che lo racchiude: “è finita male perché era un Narcisista”. Questo pensiero non aiuta a rielaborare e comprendere i motivi profondi della relazione; siamo quasi tutti con una ferita narcisistica da sanare e se abbiamo attirato una relazione narcisistica, chiediamoci cosa dovevamo vedere di noi stessi.
Siamo in un’ Era che sta vivendo su più fronti il narcisismo o pseudo tale, la differenza è la consapevolezza con cui lo si affronta e ci rende responsabili: la distinzione tra narcisismo sano e una patologia narcisistica. E’ sempre meglio evitare etichette su cose che sono più complesse di come appaiono – questo per tutte le materie – ma soprattutto per temi di questo tipo di cui ne sentiamo di tutti i colori.
Ripropongo alcuni estratti di libri che mi hanno personalmente aiutato, per conoscere, approfondire, e non arrivare a giudizi frettolosi, datoci dalla superficialità della rete. In fondo all’articolo troverete la bibliografia. (ovviamente – questo è scontato – di libri sull’argomento ce ne sono un’infinità, questi solo alcuni).
Anna Elisa Albanese
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Nel mito Narciso viene descritto già a sedici anni come ostinatamente superbo, in fuga dalle donne (tra cui la ninfa Eco) e dagli uomini, che lo amano e piangono d’amore per lui. Fugge, non si concede, si mostra sempre uguale nei comportamenti: intoccabile, forse per orgoglio, e per paura di avere bisogno degli altri. Il mito associa a Narciso la Ninfa Eco, una delle sue spasimanti: lei lo incontra e si infiamma d’amore per lui (perché proprio lui? Perché è molto bello e simile a lei: apparentemente autonomo e ugualmente dipendente dagli altri). Lo desidera e lo insegue, ma a causa della punizione che le è stata inflitta dalla dea Giunone, moglie di Zeus. Eco non riesce a parlare se non ripetendo le ultime parole pronunciate da qualcun altro. Da lontano vede Narciso impegnato nella caccia e si rammarica di non potergli rivolgere la parola. Il fanciullo, cercando compagni di battuta, grida: “C’è qualcuno qui?”. “Qui!”, risponde Eco a un Narciso stupito che non vede intorno anima viva. “Vieni!”. “Vieni”. “Perché mi sfuggi?”. “Raggiungimi qua”. “Qua!”, ripete Eco balzando fuori dal suo nascondiglio e cercando di abbracciarlo. Che pena questa Eco così poco autonoma, che si limita a ripetere le parole del compagno: per esistere ha bisogno di qualcuno che le parli in modo da relazionarsi all’altro e sapere di essere viva.
Narciso fugge da lei, e nel fuggire la scaccia, “Preferisco morire che darmi a te!”. La Ninfa si nasconde nel folto bosco, ma l’amore resta in lei e cresce per il dolore del rifiuto. Eco si aggirerà per le valli solitaria gemendo per d’amore e di rimpianto finché dei lei rimarrà solo la voce. Continuando a soffrire e a nascondersi, proverà un tormento incessante che, dopo averle logorato il corpo, le farà sperare che anche Narciso possa innamorarsi e non possedere chi ama. Ripeterà in eterno una frase, l’ultima detta dall’amato; “Ahimè”. Il rammarico per un incontro mancato, il rimpianto di quello che sarebbe potuto essere l’amore tra loro. Narciso appare autonomo: mostra di non aver bisogno di nessuno e di non accorgersi degli altri, che delude puntualmente. Punito da Artemide perché ha fatto soffrire troppi giovani, sarà condannato a innamorarsi della propria immagine e quindi a innamorarsi senza essere riamato, senza poter ricevere un riconoscimento da parte di una persona differente da sé.
Un giorno si avvicina a una fonte incontaminata e, sportosi per bere, si invaghisce dell’immagine che vede riflessa. “Spera in un amore che non ha corpo, crede che sia un corpo quella che è un’ombra”. Narciso rimane abbagliato dalla propria immagine e disteso per terra, tutto solo, continua ad ammirare il proprio aspetto. “Desidera, senza saperlo, se stesso: elogia, ma è lui l’elogiato, e mentre brama, si brama, e insieme accende e arde.” Resta prigioniero di se stesso, invischiato nel rapporto fusionale con le proprie immagini/proiezioni. Lui che vorrebbe vivere nel dialogo le proprie tensioni, le speranze, i timori, la consapevolezza di esistere, lui che attraverso la relazione amorosa vorrebbe conoscersi meglio e condividere le cose della vita. si accorge che questo altro non esiste, e che specchiandosi vede solo il proprio riflesso nello stagno: i suoi desideri non possono venire esauditi. La sua passiona amorosa non è altro che una sua proiezione, anzi, è il vuoto rimirarsi in uno specchio in maniera ripetitiva.
Questa inafferrabilità rende Narciso triste, disperato. Allo stesso tempo, proprio questo lo fa gioire in cuor suo, in quanto non dovrà scendere a compromessi con un’altra persona, non tradirà mai se stesso, potrà rimanere “incontaminato”. Narciso desidera la morte come mezzo per smettere di soffrire “Sfinito dall’amore, si strugge”. In alcune versioni il bellissimo giovane perisce di spada, il altre ancora affoga. Il corpo scompare e al posto suo si dischiude un fiore, “giallo nel mezzo, e tutt’intorno petali bianchi.”
Carismatico, eloquente, un encatador, “il mio principe azzurro”. L’uomo Narciso si mostra brillante, ama salire in cattedra e venire ascoltato. Apparentemente molto sicuro di sé, va preso a piccole dosi. E’ divertente spesso trasgressivo, mai banale: in un salotto avrà gli occhi puntati addosso e riuscirà comunque a farsi notare, a far sentire le donne importanti e corteggiate, mai sicure del suo amore. Ha bisogno di essere al centro dell’attenzione (“devo essere sempre amato e approvato”), di continue conferme, di essere eccezionale sempre. Cerca emozioni forti e costanti e na ha assoluta necessità.
Con i narcisi non ci si annoia mai: persone molto intelligenti e intriganti, costituiscono grandi sfide a livello relazionale, funzionano nei momenti di crisi, muoiono se si annoiano e subiscono la mancanza di stimoli o se non vengono gratificati. (“Ho bisogno di mettermi in continui giochi per la mente”, Vivo di emozioni e sensazioni”.) Hanno una visione estetica della vita (“mi lascio prendere dalle conversazioni intelligenti”, “Ho bisogno di poesia”). Irriverenti, non sopportano limitazioni. Sembrano in contatto con l’onnipotenza e contemporaneamente con gli abissi. Quando stanno bene riescono a sentirsi pieni di energia e ad approfittare di ciò che la vita offre loro. Quando stanno male – in modo molto oscillatorio e apparentemente imprevedibile – scaricano la loro sofferenza, oltre che su di sé, contro chi sta loro vicino.
Sono tristi di nostalgia per l’assoluto: a questo ambiscono e soffrono quando se ne sentono estromessi. Spesso guardano il mondo dall’esterno, come fossero alla periferia della vita. (1)
Ogni bambino ha il legittimo diritto narcisistico di esser osservato, capito, preso sul serio e rispettato dalla madre. Poterne disporre nelle prime settimane e nei primi mesi di vita, usarla, rispecchiarsi in lei, gli è necessario. Um’immagine di Winnicot illustra benissimo la situazione: la madre guarda il piccolo e lo tiene in braccio, il piccolo guarda nel volto della madre e vi si ritrova riflesso….. sempre che la madre guardi veramente il piccolo essere indifeso nella sua unicità e non i propri introietti, le proprie aspettative e paure, i progetti che fa per il bambino, che proietta su di lui. Nel volto della madre il bambino non troverà in questo caso, sé stesso, ma le esigenze della madre stessa. Resterà allora senza specchio e poi per tuta la vita lo cercherà invano.
(..) Nel caso di un sano sviluppo del narcisismo primario, la madre creerà un clima affettivo favorevole e mostrerà comprensione per i bisogni del bambino. Anche madri non particolarmente amorevoli possono favorire questo sviluppo, purché beninteso, non lo ostacolino. L’incredibile capacità del bambino sano di servirsi del sia pur “minimo” nutrimento (stimolo) affettivo offertogli dall’ambiente è stata dimostrata da numerose indagini.
Per sano sentimento del Sè intendo la sicurezza incrollabile che i sentimenti e i desideri provati appartengono al proprio Sè. Questa sicurezza non è riflessa, esiste: è come il battito dei polsi a cui, finché è normale, non si fa attenzione. In questa accessibilità irriflessiva, spontanea, dei propri sentimenti e desideri l’individuo trova il proprio puntello e la propria autostima. Può vivere i propri sentimenti: essere triste, disperato, aver bisogno d’aiuto, spaventarsi se è minacciato, esser cattivo se gli si impedisce di soddisfare i suoi desideri, senza per questo aver reso insicura la madre introiettata. Non solo sa che non vuole, ma sa – e può esprimere – anche ciò che vuole, senza doversi chiedere se per questo verrà amato o odiato.
(…) Una paziente mi disse una volta che aveva avuto l’impressione di aver camminato fino a quel momento sui trampoli. E non c’è da stupirsi che un individuo costretto a camminare sui trampoli sia invidioso di chi cammina sulle proprie gambe (anche se visto da lassù può apparirgli più piccolo e “mediocre” di lui); o che contro coloro che l’hanno issato su questi trampoli egli abbia accumulato una rabbia di lunga data. Così se grazie al meccanismo di difesa dello spostamento, l’invidia può estendersi anche ad altri oggetti, nella sostanza l’invidia può estendersi anche ad altri oggetti, nella sostanza l’oggetto di invidia è l’individuo sano, colui che non ha bisogno di arrabattarsi continuamente per ottenere ammirazione, colui che può fare a meno dell’effetto che produce, colui in definitiva, che può permettersi di essere mediocre.
Se un individuo arriva, attraverso un lungo processo, a far esperienza del fatto che da bambino non è stato “amato” per il bambino che era, bensì per le prestazioni, i successi, le qualità che esibiva, del fatto che per ottenere questo “amore” egli ha sacrificato la propria infanzia, ciò lo sgomenterà non poco, ma gli farà anche nascere il desiderio, un bel giorno, di farla finita con questo corteggiamento. Costui scoprirà allora il bisogno di vivere il suo vero Sè e di non dover continuare a guadagnare l’amore; un amore che lo lascia, in definitiva, a mani vuote; un amore che riguarda il falso Sè di cui ha cominciato a disfarsi. Liberarsi dalla depressione non significa contentezza perpetua o assenza di ogni sofferenza; significa vitalità, vale a dire libertà di vivere i sentimenti che affiorano spontaneamente. E poiché la molteplicità è propria dell’individuo vivo, questi sentimenti non sono sempre “buoni”, non sono sempre i “bei” sentimenti. Anzi, comprendono l’intera gamma dei sentimenti umani e dunque anche invidia, gelosia, rabbia, rivolta, avidità, disperazione e lutto. Liberarsi dalla depressione, inoltre, significa ritrovare le radici, recise nell’infanzia, di questi sentimenti, cessar di temere l’intenso, “psicotico”, mondo affettivo della prima infanzia. (2)
E’ chiaro che i narcisisti hanno bisogno del potere per gonfiare l’immagine di sé, che senza di esso si affloscerebbe come un pallone vuoto. Ma come si può sviluppare un’immagine così grandiosa di sé stessi? I bambini non hanno malizia (l’innocenza infantile), hanno reazioni spontanee basate sulle esigenze del loro sé corporeo. Come accade che questa innocenza vada distrutta e, ancora di più, che l’individuo venga spogliato del suo più vero essere e posto nella speciale condizione di sentirsi superiore? La sequenza degli eventi segue un ordine preciso. Per prima cosa c’è il vissuto umiliante dell’impotenza, poi segue un processo di seduzione che porta il bambino a considerarsi speciale. Un ulteriore elemento , che generalmente accompagna l’umiliazione, è il rifiuto. Dopo essere stato rifiutato e umiliato, il bambino è più facile da indurre, con la seduzione, a servire il genitore.
Cosa intendo con “seduzione”? La parola viene dal latino “seducere“, “sviare”. Noi parliamo di gente che è sedotta a abbandonare la propria fede, i propri principi o la propria lealtà. Queste persone sono sviate dal sentiero arduo e dritto della virtù, che è in ultima analisi la fedeltà a se stessi e ai propri sentimenti più profondi.
Diciamo che uomo seduce una donna se, sapendo che è contro i suoi principi avere rapporti sessuali senza amore, la induce a una relazione dichiarandole un amore che non sente. Ovviamente un uomo non ha bisogno di sedurre una donna che desidera semplicemente una relazione sessuale, con o senza amore. La seduzione, per tanto, può essere definita come l’uso di una falsa dichiarazione o di una falsa promessa per indurre un’altra persona a fare quello che altrimenti non avrebbe fatto.
La promessa può essere dichiarata esplicitamente, o può essere anche implicita. Le manovre più seduttive sono quelle che riguardano promesse non chiaramente specificate. L’immagine narcisistica ne è un esempio. Un elemento importante nel processo di seduzione è la natura del rapporto in cui si verifica. La seduzione non è una transazione commerciale nel quale le due parti sono uguali. Un buon affare non è considerato una truffa o una seduzione. La seduzione si verifica solo nei rapporti in cui esiste un certo grado di fiducia. Per sviare qualcuno occorre prima far si che si fidi di noi. La seduzione quindi, è sempre un tradimento, che è tanto più nocivo nel rapporto genitore – figlio, in cui la fiducia è essenziale.
L’incentivo è il rapporto speciale con la madre, che porta a una promessa di vicinanza e intimità. Per il bambino la promessa di vicinanza è irresistibile, soprattutto se nei primi anni di vita ne è stato privato (vuoi per allattamento artificiale, nascite difficili, madre che lavora). E’ importante il momendo in cui si colloca questa promessa seduttiva non dichiarata coscientemente, è nell’età fra i tre e i sei anni, abbastanza grande per capire la richiesta che gli viene fatta, ma non abbastanza indipendente da poterla rifiutare. Inoltre il bambino attraversa la fase edipica, che è un periodo in cui il suo interesse per il sesso opposto è fortemente sessuale. L’idea di avere un rapporto speciale con la madre ha molti significati, innanzitutto di essere il preferito. Il bimbo sente che la sua madre ha bisogno di lui. E’ naturale che si senta importante. Come si può evitare in queste condizioni, di sviluppare un’immagine grandiosa di se stessi? Come rinunciare all’illusione di potere (di essere il solo che può soddisfare il genitore) che la situazione gli procura?ù
La promessa dell’unicità è l’esca deduttiva usata dal genitore per modellare il bambino secondo una certa immagine. Nella maggior parte dei casi, la promessa non viene esplicitata, ma implicita nel comportamento del genitore verso il bambino, che è in grado di avvertirla chiaramente. Il patto, come abbiamo visto, è che il bambino verrà considerato “speciale e unico” e trattato come tale se si sottometterà al genitore. Tutti i “narcisisti” che ho incontrato, “si sentono” speciali. Ho posto “si sentono” tra virgolette perché il sentirsi speciali, non è una sensazione corporea, ma una costruzione mentale. Si tratta di una convinzione, di un pensiero, piuttosto che di un sentimento. Tuttavia una persona “si sente” superiore deve tradurre questa sua convinzione a livello corporeo, attraverso una dissociazione dell’Io dal corpo e un sentirsi al di sopra del corpo. L’immagine si colora di eccezionalità, diventa fuori dal “comune” . Ma i valori associati all’immagine sono illusori; la sua superiorità e la sua forza non sono reali. I valori veri si trovano nell’interiorità dell’essere, nell’umanità della persona e non nella sua immagine. (3)
Articoli tratti dai seguenti libri in ordine di sequenza:
- Ho spostato un Narciso, Umberta Telfner, Castelvecchi Editore
- Il dramma del bambino dotato, Alice Miller, Boringhieri Editore
- Il Narcisismo, Alexander Lowen, Saggi Feltrinelli
Per leggere alcuni approfondimenti per quanto riguarda Narcisismo e Astrologia:
- Il narcisista “inconsapevole” e “ipervigile” nell’Oroscopo in Astrologia Esoterica e Psicologica
- Il Narcisismo e l’incapacità di amare di Lidia Fassio
- Il Narcisismo e L’Astrologia di Paolo Quagliarella
Immagine 1 e 3: disegni di Elena Kalis
Immagine 2 e 4: Disegno di dana petrilli art
3 risposte
Dove sono i narcisisti? Eccone uno. Faccio parte di questa categoria che hai descritto tanto bene e trattato in modo non superficiale. Ho letto molti articoli dei quali parli nell’inizio del tuo scritto. Non è facile essere consapevoli del proprio narcisismo, della ferita narcisistica ma ancor più non è facile trovare un’ uscita. Ci sono davvero molti articoli sui rapporti difficili e tossici che si instaurano con il temibile narcisista, e molteplici video. Quel che però mi piacerebbe trovare è qualche proposta di cambiamento qualche aiuto ad aumentare la consapevolezza e aiuto ad uscire da una situazione che sembra non avere speranze e soluzioni. In primo luogo per migliorare le relazioni di coppia che finiscono sempre al primo accenno di noia o minima insofferenza per supposti “difetti” dell’altra persona.
Ciao Luigi, scusa il ritardo nella risposta. intanto grazie davvero per la tua condivisione, Anch’io conosco bene la materia sia da dentro, sia da fuori, ma la ferita narcisistica mi appartiene e posso dirti che il lavoro di recupero, sempre che poi si possa lenire, è passato da un recupero di quella rabbia lontana, ma non solo. Il recupero di una zona creativa solo mia a cui poter tornare a anche una bella massiccia dose di realtà piovuta addosso, ogni volta che cercavo anch’io di volare via per i presunti “difetti” altrui, o per la paura di entrare in quello che era la caducità umana. Vivo ora nell’arte, nella scrittura e nell’ispirazione quel contatto con l’infinito, la bellezza eterna e la mia inquietudine mai sopita, ma nella vita reale ho imparato a rendermi vulnerabile, imperfetta, arrabbiata, proprio come da bambina non ho mai potuto essere. La strada verso la libertà la percorro ogni giorno, però è nel lavoro terapeutico con un analista molto bravo, che ho potuto guarire quella ferita, specchiandomi in un rapporto sano e nella possibilità di poter essere. Anna Elisa
Grazie Anna!