Proprio oggi che è il giorno prima di Pasqua, ritrovo le mie antiche poesie.
Le ho sempre avute, nel pc, nei cassetti, nei piccoli libricini rilegati con carta colorata che ho cercato di donarmi e donare agli amori andati, senza riuscire a colmare mai quello che mi si agitava dentro. E poi per molti anni a seguire non le ho volute nè più scrivere, nè vedere. Passata a un altra modalità di essere, scaraventata fuori da me stessa in un parto di infinita gestazione, ho iniziato a mettere dei tasselli più concreti nel mio presente, o forse solo più visibili al mondo, così che le mie frasi sconnesse che scrivevo di notte, tra i pianti spesso, e le solitudini subite e più volte ricercate, hanno lasciato il posto a qualcosa d’altro, meno intenso di allora, ma forse più legato alla realtà.
Non che le rinneghi adesso, le rileggo oggi e mi strazio ancora un po’ e penso però a quanta sofferenza. Di quanta ne ho avuta bisogno, da esprimere in modo forsennato e da vivere totalmente, prima di poterla abbandonare. O perlomeno, prima di accorciarne i tempi, di permanenza.
Che cosa mi ha salvato dai miei abissi?
Cosa mi ha fatto risalire per respirare di nuovo l’aria e non solo la densità di quell’oceano di sentimento dal sapore tragico e melodrammatico in cui giacevo immersa?
Spesse volte mi domando, se non sia stata davvero la cara Terra, tanto presente nel mio Tema Natale, insieme alle vaste zone ricoperte d’Acqua, a salvarmi, come un isola su cui arenare esausta dalle onde.
Una volta, quando ero ragazzina, il mio terrore più grande era quello di impazzire; conoscevo bene la storia di Amleto, un racconto che non smetteva di suggestionarmi e nelle mia testa si era inculcato forte il pensiero che io potessi fare la stessa fine di Ofelia.
A quei tempi già studiavo Astrologia, e una persona di fiducia a cui spesso chiedevo consiglio, mi ricordo mi diceva “Hai troppa terra per impazzire, al limite sarai troppo lucida e cosciente nel tuo soffrire, ma quando ti sveglierai dai tuoi incubi di idealizzazione sentimentale e vedrai veramente la realtà, potrai decidere dove concretizzarli, in che forma farli vivere. Ma, non temere non impazzirai…”. Non so se quelle frasi ai tempi, mi avessero consolato, anzi direi proprio di no, e l’essere lucida nel mio dolore, era una prospettiva che non mi piaceva affatto. Nel mio ideale sturm und drang da Ascendente Scorpione, Nettuno dominante in 1 Casa quadrato a un Marte in Pesci in 4 Casa che ancora ribolliva di rabbie sepolte, mi auguravo di impazzire da eroina drammatica, piuttosto, che invecchiare da persona lucida e coscienziosa.
Invece, le cose vanno poi in altri modi da quelli che si crede giusti per noi, e tutta quell’acqua, si è come riassorbita nella pelle, negli occhi, nei gesti e nell’imparare a guardarmi intorno.
A guardare oltre me.
Oltre i miei dolori l’acqua non c’era più ma c’era la vita intera.
E finchè me ne stavo immersa nei miei baratri e nei neri fondali non potevo vedere nient’altro che relitti e soffrire per essi di un dolore senza fine.
Poesie scritte negli anni tra il 1995 e il 2005.
Ora che
Ora che mi hai lasciato sola
ogni cosa intorno mi appare diversa –
Non ho più con me la nuvola densa del mio attenderti
quel sapore di miele misto a sale
di poco prima
mentre parlavo con altri e sapevo che un giorno
forse lontano
te lo avrei raccontato
Non ho più con me nemmeno i singhiozzi
che nelle ore tarde della notte
lasciavano col loro gusto agrodolce le mie guance segnate di porpora acceso
e di livido segreto
Ora cammino come una trasparente nuvola di cielo –
Ora che mi hai lasciato sola
questo alterna euforia e tragedia nel mio sguardo
perché non ho più dentro i tuoi occhi
a scrutarmi
anche da lontano
io sapevo che mi guardavi
anche senza chiedermi
io ero nei tuoi lunghi viaggi nelle tue assenze
dal tuo respiro
io ero sempre più vicina
Ora che mi hai lasciato sola
fluttuo come vento nelle strade del mio solito mondo –
So che non potrò dirti un giorno
sedendomi accanto a te nelle notti del nostro amore
di cosa cercavano i miei occhi ora
e di che cosa mai ho trovato
Non potrò rifugiarmi nel sicuro spazio del tuo sorriso –
Come danza lieve adesso lascio cadere fiori al suolo
sapendo che nessuno mai li raccoglierà
lascio andare parole gesti variazioni di tempo sulla mia pelle
abituandomi piano
al fatto che non verranno trascritti
poi
nell’incanto magico del ritrovarti.
Nascita
Momento in cui sola attendo
Onde che ancora paiono lente
ma urtano forti e impazienti
quelle scogliere
così ormai da tempo logorate
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Nidi preparati nell’inverno
Se me ne sto qui ancora
è per i nidi preparati nell’inverno
che scaldano come madri
ma vorrei scagliare come dinamite il mio gemito di rabbia
sul tuo assente
volto neutro
per darti voce mentre mi lasci
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Scalza
Incolmata mi alzo nella mia mattina
e mi sfilo pensieri stanchi
riciclo merendine usate
e scalza ormai proseguo
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La mezza luna
La mezza luna che un arco teso disegna nell’aria
quella frazione di spazio vuoto
sospesa trazione
tra le mani che toccano la freccia
e l’opposta forza contro cui combattono,
ecco è proprio lì che giace
mescolanza astratta di suoni confusi
la mia selvatica attesa –
In timore
ed eccitazione costante,
sto nella bramosia di prendere il volo
come meteora nella volta celeste
abbandonata sola in quel distacco da te
infinito
e sublime nella sua incoscienza
atterrita terrorizzata forse liberata –
Me ne sto ancorata invece
nella scomoda distesa d’aria
che si propaga nervosa tra l’arco sottile
flessibile e teso
e il polso malfermo della mano,
in quel piccolo tetto incostante
respiro nel mio tremolio buffo
come indistinta lancetta
segno le ore incontrollate della mia presenza
mobile
precaria e paurosa
nel tuo spazio
interno o esterno alla fine che differenza fa
e credendomi felice ti sorrido sempre
e pensandomi padrona di me
non scorgo l’insondabile distanza
e il nevrotico equilibrio che il mio spirito respira
ed entro il quale si propaga
ogni volta che inseguo
il tuo giaciglio
sospeso
che è anche il mio di arresa dolcezza
stanca del mio volo perpetuo
arrabbiata e incoerente farfalla
chissà se incredula o solo distratta
scappo ed infine sosto ne
la mezza luna che un arco teso disegna nell’aria
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Natale
La tormenta non fa’ più rumore adesso
solo a volte stride come eco
o come pianto
come un presepe sotto la neve
di carta da lettere
bianco
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In queste notti
In queste notti senza luna
rimango assorta in tiepida quiete
assorbo odori dolci sui sentieri conosciuti
spine selvatiche sulle mie gambe
accartoccio speranze nelle parole tra gente che non conosco
ricordo
il tuo volto scuro
lontano spiraglio di un incontro
indistinto bisbiglìo di un cuore chiuso
insieme al mio
titubante e pauroso
mi sono gettata nel fuoco
In queste notti senza luna
ricamo spettri sul davanzale
non c’è odore di casa né di certezze conosciute
solo aria
e buio
l’oscurità assorbe i miei pensieri
inghiotte ad uno ad uno i docili spiriti
del mio sentire
Cado esausta in questa terra
mentre un pezzo di mare mi guarda da lontano
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Nei nostri corpi
Ho bisogno di toccare il silenzio
per poi ascoltare la voce fino a notte
mai stanca
del tuo animo che ride
Ho bisogno di stelle che cadono
e vanno a posarsi nei nostri corpi
distratti
alla luce del giorno
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Avremmo dovuto
Avremmo dovuto incontrarci ora
due sconosciuti sul ciglio di una strada
io seduta sulle mie piccole macerie
e tu occhi grigio verdi naufraghi di cielo
Avremmo dovuto raccontarci ora
nuvole insoddisfatte
dei sapori così lucidi da far male,
adesso ti avrei solo preso le mani e amato
senza paura
senza –
Anime instabili cosa ci saremmo detti
chissà se ti avrei riconosciuto
tra mille
chissà se avrei visto nel tuo viso
quel lampo
quell’errore infantile ruvido inganno
quel dolce sbagliare
che ci fece così ingenuamente
un tempo cadere
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Avresti potuto tardare
Avresti potuto tardare
la tua assenza
ancor prima di essertene andato
invece che lasciare spazi incolmabili
dal sapore acre
come spilli la notte
senza respiro
calpesto le ombre
che hai posto sul mio cuscino
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Nemmeno questa compagna
Pallida morte
nemmeno questa compagna ora
mi sorride
come i tuoi occhi nella penombra
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Se il vento potesse fermarmi
Se il vento potesse fermarmi
ora che ho paura di andare lontano e solcare quel limite
estremo valico di sofferenza
e sputarti fuori per sempre
Se il vento potesse fermarmi
in attesa ancora dei tuoi occhi
in morbida morte
tu possa ritrovarmi sempre lì con l’anima in pezzi
il mare incessante nel ventre
la pelle viva ad un tuo tocco bruciata dalle tue mani ansiose
Se il vento potesse fermarmi
invece di lasciarmi mutare
invece di farmi sentire radice estirpata con rabbia
musa non più docile
nell’incanto dei tuoi ritorni
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Mi hai bucato l’anima
Mi hai bucato l’anima
non so come
ma in un secondo l’aria ha cominciato ad uscire
un nero rigagnolo
sui miei contorni malleabili
e ho pianto inferno
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Salpare lontano
Salpare lontano dal tuo richiamo senza voce
e dai tuoi silenziosi presagi di calore
mentre
ormai giunto al termine anche questo giorno vola via
senza aver trovato coraggio né resa –
Sui battenti di inospitali paesi vorrei poter porre fine
al mio tormento
ora che
come luce fioca al crepuscolo
nemmeno i canti di inizio estate mi fanno più sorridere
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Se dev’essere neve
Se dev’essere neve
che sia pungente
come lama d’argento
che sia come un’ombra di gelo
sulla mia piccola sera
invece che lasciarmi disarmata sotto un cielo incerto
distesa tra i germogli di ceneri spente
Il tuo viso poco lontano
non ancora distante
non più intriso di sogni e incanti
solo serpeggia nella mia pelle come brivido sottile
appena avvertito
foglia di rosse sembianze che fatica a cadere
per lasciare quell’albero spoglio
nel suo lutto d’inverno.
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Naufraghi
Arresa ascolto onde
e balbetto pensieri offuscati
nuvole inquiete fermano il vento
come la mia anima
spenta
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Testi copyright Anna Elisa Albanese
2 risposte
Bellissime Anna..! E intanto mi sembra di conoscerti meglio.. Marisa.
Buon giorno Marisa .. Buona Pasqua intanto, e un caro abbraccio a te ☆☆☆