ESTRATTO dalla tesi della scuola di formazione Philo, specializzazione in Analisi Biografica ad Orientamento Filosofico
INTRODUZIONE p. 9
Durante il mio percorso di formazione a Philo , mi sono trovata a sentire l’esigenza di un tirocinio-stage che mi avvicinasse e facesse entrare in prima persona nel mondo, per me nuovo, della cura dell’altro.Un nostro compagno di corso, Clemente Iannotta, fu il pioniere di questa mia esperienza, prendendo i contatti con la psichiatra e l’equipe di sostegno nello spazio So-stare, all’interno della Casa della Carità. Abbiamo proposto un lavoro volontario di collaborazione con l’ equipe, che permettesse a noi di sperimentarci, e a loro di conoscerci.
È nata come una semplice esperienza di raccolta biografica, più semplice per noi da proporre perché forse più pratica e vendibile per chi non sa dove collocarci come campo di interesse ( Analisti? Psicologi ? Consulenti ? Filosofi ?). Allo stesso tempo anche più nominabile e meno spaventoso, per la mia prima esperienza con un essere umano in carne ed ossa, e non un caso astratto letto nei libri, o ascoltato in aula da racconti di altri. Io stessa ho provato a interrogarmi durante questa esperienza con Roberto […] sulla mia identità lavorativa, ed ho piacevolmente scoperto che qualsiasi definizione ed etichetta è relativa, e forse anche non così importante rispetto all’esperienza da acquisire in ogni minuto nella realtà concreta dello sperimentarsi in prima persona[…] E così ho iniziato una serie di incontri settimanali con Roberto, proseguiti nel suo accompagnamento terapeutico per il successivo anno e mezzo, concluso con la restituzione biografica da parte mia della sua storia, ma che è stata solo uno dei numerosi strumenti usati insieme nel nostro cammino[…]
Ho scoperto dopo, solo alla fine, quando ho potuto gettare uno sguardo più distante e lucido all’intero percorso, che era successo l’impensabile: non solo io avevo fatto qualcosa di buono per Roberto, ma lui stesso mi ha permesso di guardarmi davvero in un altro modo e ha cambiato me[…]
SECONDO COLLOQUIO p. 18
Finisce il tempo tra noi, e mi rendo conto di sembrare un dentista che gli cava le parole di bocca e questo non mi piace. Inizio dunque a pensare che qualcosa devo cambiare nel mio metodo, perché a lui non interessa proprio la sua biografia, non trova piacere nel parlare di sé e appena può scivola lontanissimo da sé per andare in qualcosa d’altro[…]
OTTAVIO COLLOQUIO p. 49
Per questo incontro ho trovato altre immagini […] lavoro su opposizioni, dal piccolo al grande, dal paesaggio sublime al minuscolo, dall’apertura di grandi spazi di natura a luoghi chiusi. Prendo spunto anche da dettagli di suoi racconti, e metto suggestioni napoletane, strade, panni stesi, cieli stellati, strumenti musicali, suonatori ambulanti, cibi, ecc . Sento che posso ingrandire la visione come ad un telescopio. L’immaginario interno e il reale fuori possono finalmente lavorare insieme – Anzi lavoreranno insieme perché è solo attraverso la visione simbolica che attingerò all’animo di Roberto, non attraverso il reale in cui si è costretti ad occultare parte della verità per difendersi da una vita di interrogatori e di richieste di verità[…]
Finalmente sento che parte delle difese attuate da Roberto si stanno stemperando, e lui prova anche del piacere nel fare le cose, è meno a disagio ed è curioso, le immagini finalmente parlano per lui […]
CONCLUSIONI pp. 179-180- 181 -183
La prima volta che sono entrata alla Casa della Carità sono stata subito colpita e in qualche modo affascinata da quel luogo. Un crocevia di persone di culture diverse tutte lì insieme in una convivenza se si può dire forzata […]Trovare una forma organizzativa lì in mezzo a quella molteplicità, che sfida pazzesca doveva essere, trovare una comunicazione che racchiudesse il linguaggio e la cultura degli africani con quella dei musulmani, con quella dei marocchini e gli albanesi e via dicendo. Tutto questo ha avuto su di me l’effetto e la forza di una calamita[…]
E’ stato per me come calarmi in un altrove di luoghi e culture, che anche dentro di me (nel luogo del simbolo) necessitava da sempre di essere visto e ritrovarsi. Lì riviveva da una parte con un misto di fascinazione e senso di perdita di me stessa e della mia identità da sempre labile, dall’altra in un magnetismo che non smetteva di attrarmi. Quante volte nei miei sogni notturni apparivano degli stranieri come persecutori spaventosi o al contrario come personaggi ricchi di fascino lontano che volevano mostrarmi qualcosa di me : una via sconosciuta ma allo stesso tempo familiare, perturbante […]Chissà se un presunto vissuto di sradicamento dalle origini e dalla madre (per ognuno diversissimo) mio e di Roberto, ha fatto sì, che stare in mezzo a questo straniante ed estraneo, ci riconduca paradossalmente a casa ? O come se solo lì in mezzo ad altri estranei lontani dalla loro casa e dalle loro origini, possa aver agito qualcosa di universale così forte da trascendere noi stessi in una liberazione dal nostro ego.
Come se si assistesse ad una sorta di sguardo dall’alto, come direbbe Pierre Hadot, che ci abbia ridato ossigeno e aria, spostandoci dal nostro vissuto individuale a quello di molti e molti altri , e del mondo intero, grande , immenso, desiderabile, e agognato, per uscire dal nostro passato[…] Lo specchio-Roberto, si è allargato per diventare uno specchio-mondo, che con il suo moto disordinato e senza logica, ha messo invece un po’ di ordine nel mio[…]
Chissà che questo luogo frammentato di diversità e stranieri lontani e vicini uno all’altro, non sia stato altro che la manifestazione visiva e concreta della forze contrastanti che sento agitarsi dentro di me[…]
Questo bagno di realtà è stato per così dire l’altra faccia su cui ci siamo mossi, in contrapposizione al mondo simbolico e metaforico di cui ho precedentemente parlato. All’inizio di ogni seduta c’era il rito condiviso del diario, in cui ci prendevamo qualche minuto di silenzio e scrivevamo il diario nei nostri piccoli quadernetti rossi, il regalo fatto a Roberto nel primo incontro. C’era in quei piccoli minuti sospesi, il presente, il corpo, l’essere presenti qui e ora nella stanza, il percepire le urla fuori nel corridoio dei bambini africani e gli uccellini fuori dalla finestra che annunciano le stagioni cambiare, l’aria più calda della primavera un giorno, le nuvole e la pioggia un altro.
Lo stesso rito, quello del diario, che mi ha iniziato a radicare alla terra ferma quando a tredici anni ho cominciato a scrivere il primo dei molteplici diari, proseguiti nella mia vita con lo stesso comune intento: mettere insieme i pezzi vaganti in me in una forma che mi potesse dare sostanza , forma, definizione, calore. Un fedele rito quotidiano che seguisse me stessa dolcemente per seguire un nesso ed un senso nel mio crescere ed appartenere a questo mondo […]
Eccomi qui e ora a concludere il mio e il suo sentiero percorso, abbiamo creato insieme la nostra storia che ho cercato di ricucire qui, nell’incontro comune con la scrittura e la forma concreta che ci potesse racchiudere entrambi in unico libro. Roberto un anno e mezzo dopo, ha visto completato il suo lungo lavoro, che riunisce fantasia (collage e le immagini di favola e quant’altro) e realtà ( diario sbobinato ogni seduta) , in un unico libro, come lui stesso ama chiamarlo. Io vedo completato adesso il mio lavoro con lui e con me stessa ( non proprio del tutto con me stessa, a quello non c’è un termine se non la vita), raccogliendo in questo lavoro sia la mia parte fantasiosa e irrazionale che quella razionale.
Entrambe vivranno anche in me ? Potranno riuscirci?
Anna Elisa Albanese
giugno 2011