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UN GIORNO IN PIÙ

 

 

I ritorni di Saturno. 

 

Immagino Saturno come una grande clessidra piena di sabbie colorate e di diversa quantità, ognuna misura un tempo differente: un tempo per essere bambini, un tempo per i primi baci, un tempo per stare con i genitori, un tempo per ridere e per piangere, un tempo – maldetto tempo – che a un certo punto finisce nella materia e ha una scadenza con cui noi non siamo quasi mai d’accordo. 

 

Se Saturno evoluto e integrato rappresenta la vera saggezza del ciclo del tempo, evidentemente questo limite imposto che sembra piombare quando siamo ancora in cortile a giocare, è qualcosa che ci obbliga a dei passaggi che altrimenti noi coscientemente in modo attivo non compiremmo mai. So che non sto dicendo cose per nuove perché ho parlato spesso di Saturno nei miei articoli, ma è un simbolo così sfaccettato nelle sue ombre e luci, che ogni volta m’interroga e apre visioni, ed è anche la sua presenza da dicembre 2018 nel suo Domicilio Primario, il Capricorno, che me lo fa sentire così vicino. 

 

Torniamo un attimo alla nostra immensa clessidra e immaginiamoci per esempio cose molto semplici che tutti viviamo, come la percezione del tempo di quando terminano le vacanze. Ricordiamoci i diversi modi di attraversarlo, il sapore del tempo lento e lungo delle vacanze da scuola in adolescenza, di cui ancora conserviamo quel ricordo; un tempo dilatato e profumato di caldo (e non solo perché eravamo per tre mesi lontani da scuola), in cosa è diverso da ora? Proviamo a ricordare quello stato di felicità febbrile prima che giungano le vacanze, e pensiamo  a come sentiamo lo scorrere del tempo nel mezzo alle vacanze: com’è quando stanno terminando e mancano pochi giorni alla fine? 

 

Accade qualcosa di fluido e naturale se abbiamo assaporato con tutto noi stessi quel tempo straordinario, prima di tornare alla vita ordinaria e scolastica di settembre, e se ci siamo tuffati anima e corpo nell’esperienza del luogo dove siamo andati e del ritmo differente che abbiamo preso, avremo voglia quasi, in fondo, in fondo, di tornare a casa. Se abbiamo davvero vissuto stando nel presente assoluto, quando i giorni sgocciolano e la clessidra volge al termine, proviamo quel dolce sentimento malinconica tenerezza ritorno a casa. Avviene. Semplicemente accade che le vacanze finiscano e si inizi un nuovo ciclo al ritorno.

Così dovrebbe essere affrontata tutta la nostra vita, imparando ad accogliere e attraversare i cicli naturali che compiamo a ogni crescita, immersi in ellissi circolari che proseguono senza interruzione di sorta in un movimento ascensionale. Ciclico. Facile a parole! Ma cosa succede quando i cicli s’intasano, s’inceppano, non fluiscono o sono interrotti prematuramente? Accade che non fluiamo più e che per paura di soffrire troppo congeliamo le emozioni e lascolto del giusto flusso del tempo, bloccando la naturale percorrenza delle cose. 

 

 

Io ero bravissima a cercare di bloccare tutto quanto fin da piccola. Ero una di quelle che quando mancava un giorno alla partenza alla fine delle vacanze, mi struggevo e facevo una fatica pazzesca ad accettarne la fine e mi dicevo ogni volta “Se solo avessi un giorno in più… solo un altro giorno, rimandiamo, dai partiamo dopo domani!”. Ogni partenza era uno strappo e una violenza, e così è stato in tutti i miei cambiamenti importanti “No ancora un pochino, è troppo presto, non sono pronta, se solo avessi ancora un po’ di tempo, se solo avessi un altro giorno ancora..”.

 

Ma ora a posteriori mi chiedo: quel famoso giorno in più serve davvero? O è solo un prolungare lagonia in qualcosa che si deve comunque lasciare andare? Che si tratti di una fase di vita, di una persona o una situazione, non si è concluso già qualcosa che però non si riesce a riconoscere come finito?

 

Penso che durante i passaggi di Saturno – i temutissimi ritorni di Saturno – ci si senta un po’ così, immersi in una fase di passaggio che mostra uno stallo tra un prima e un dopo che fatichiamo ad attraversare con fluidità. La sensazione di qualcosa che volge al termine, (e non è necessariamente una cosa negativa), qualcosa che ha fatto il suo corso e ci prepara a fare un salto di livello più maturo, o nel caso contrario a essere lasciata nel passato. La sensazione Saturniana di fatica deriva dal fatto che a noi serva sempre un giorno in più. Non ci sentiamo ancora pronti, ci sentiamo nel mezzo tra un prima e un dopo che facciamo fatica a solcare, ci dimeniamo e facciamo i capricci, “No, no, non ancora, io voglio rimanere qui al punto in cui sono non voglio maturare niente nè ancora meno, lasciare indietro qualcosa o qualcuno!” 

 

Per questo tutto il tempo si dilata in una dimensione sospesa di attesa. Il tempo si immobilizza e congela la nostra psiche come nella favole quando il regno diviene ghiaccio, o il filo spinato cinge il castello dove la Bella Addormentata dorme in un tempo immobile e fermo in attesa del risveglio a nuova vita. Noi ci sentiamo stritolare e nell’urgenza di riuscire a risolvere tutto chiediamo un sacco di giorni in più, sconfinati, ne vorremmo a valanga, ignari però del fatto che nessuno di questi giorni – ed è qui risiedere il dolore straziante – nessuno di essi conserva quel sapore del tempo perduto. Quel tempo centrale del sole a mezzogiorno, quello di mezza estate quando ancora la fine delle vacanze era lontanissima, quello del frutto quando era maturo e colmo nella sua grazia, quel tempo perfetto di quando c’era la massima pienezza: quel tempo che era il tempo giusto.  

 

Ogni ciclo energicamente ha un inizio, una fase crescente, un picco massimo e una fase decrescente, per poi ricominciare da capo. Il ciclo Lunare ce lo mostra nella sua massima espressione tutti i mesi. Se noi non ci accorgiamo che una situazione, un sentimento, un flusso vitale è nel tempo del suo ciclo discendente (che non vuole dire morte o fine ma vuole dire che dovrà compiere un cambiamento) e ci ostiniamo invece a voler riavvolgere il nastro, immaginandoci di rivivere il suo apice, ci condanniamo a uno stato di grande amarezza e malinconia.  Ci accorgiamo che anche se questo “tempo in più” ci viene concesso, la felicità non giunge più come era stata naturale la prima volta che l’avevamo incontrata. Anche rimettendo insieme tutti gli ingredienti la formula non funziona più. Non riusciamo a rivivere pienamente il “passato glorioso”, ma nemmeno riusciamo ad accettarne la fine. 

 

La presa di coscienza del vero stato dei fatti ci avvicinerebbe al processo di guarigione, invece di ostinarci nella resistenza passiva. Sono anche consapevole che spesso questo tempo apparentemente fermo, è un tempo necessario alla maturazione e alla capacità di prendere effettiva distanza da qualcosa che credevamo fosse ancora vivo e invece non è più nella sua crescita, ma nel suo declino. L’accettazione del suo deterioramento metterebbe in moto il vero significato di Saturno che può ricostruire mettendo nuova linfa alle fondamenta. Certo è che per ricostruire, qualcosa lo si deve un pochino decostruire o abbattere.

 

Perché dove ci sarà una fine avverrà ancora un inizio. 

 

Saturno non solo falcia qualcosa o fa terminare, ma usato con lucidità e consapevolezza fa maturare ciò che deve costruirsi su basi solide, facendo franare la fondamenta che non erano valide. Saturno segna il ritmo del tempo, un tempo interno, un tempo diverso per ognuno di noi e se ci guardiamo bene dentro conosciamo benissimo, anche se non vorremmo mai dirlo ad alta voce. Ognuno sa se è molto tempo che rimanda qualcosa, ognuno sa in cuor suo se una storia sentimentale è finita molto tempo prima della reale separazione, che può avvenire anche molti anni dopo. Ognuno sa dentro di sé se quel lavoro non lo motiva più o se quel caldo giaciglio che è l’antica maschera da “figli” che mettiamo con i genitori, è da millenni  caduta e scaduta, ma è troppo dura levarla del tutto. 

 

Saturno non fa nulla di male credetemi, perché come quando sappiamo bene la data della fine delle vacanze, sappiamo bene anche quando altre date sono già giunte a termine e stiamo chiedendo un giorno in più”, invece di provvedere con maturità al cambiamento richiesto.

 

Il cambiamento non è tornare a un passato che è già morto molto tempo prima che qualsiasi Saturno si presentasse al portone di casa, solo che non avevamo ancora la forza di riconoscerlo. 

 

 

 

 

Facciamo una piccola riflessione sulla nostra vita e proviamo a ricordare situazioni – o se vogliamo anche in leggerezza una bella vacanza, una situazione finita o un amore di un tempo – com’è stato o come sarebbe avere ancora del tempo disponibile? 

 

Saremmo veramente riusciti a goderci quel tempo in più? 

 

Io a ben ricordarlo credo proprio di no, anche se verrebbe a posteriori da dire e da fare tutto ciò che non si è detto o fatto. In un tempo reale e non immaginato come nei finali dei film americani a lieto fine che narrano di riconciliazioni e buoni sentimenti (che piacciono perché narrano di questi archetipi collettivi di giusti tempi che trovano il loro giusto spazio per fluire e ricominciare), nella vita normale fare il gran recupero dei minuti come nelle partite di pallone, è solo una corsa affannata che si vive con ansia. La partita è già stata giocata non dimentichiamolo – certo ci può essere un gran goal finale che ribalta tutto il risultato perché no’ – ma possiamo puntare tutto su quei pochi istanti rimasti di tempo supplementare, o forse è meglio giocarsi bene tutta la partita?

 

Detto così sembra la formuletta di luoghi comuni che anch’io detesto, ma in questo ultimo periodo l’ho davvero sentita anima e corpo questa cosa assurda del tempo lineare che ci troviamo a vivere noi umani in questa cosa bellissima e dolorosissima che si chiama vita. Ho sentito forte l’urgenza del tempo, che consapevolmente o meno, si sta sentendo molto anche a livello collettivo. 

 

I Social alternano in maniera fantastica foto di mare sublime, sorrisi in costume da bagno, a notizie allarmanti del disastro Covid ancora in corso. L’estremismo di alcuni paesaggi mozzafiato eterni che racchiude al suo estremo opposto la caducità di noi esseri umani. Posti esotici e lontani, che se presti l’orecchio, si pare udire in sottofondo il ticchettio del countdown del rientro imminente al mondo “di qua”, (se uno non ci vive) e la fuga dal pensiero della morte e la malattia da scagionare. 

 

Questo dualismo estremo mostra fuori di noi, quanto poco dentro siamo riusciti a integrare nella nostra vita questa opposizione lacerante tra libertà, ricerca di infinito e finitezza umana. Certo, non per tutti è così, ma siamo ancora immersi in un sistema più grande di noi che segna il tempo obbligato, delle ferie, le feste comandate, i Natali e i compleanni, il matrimonio a una certa età, i figli a il lavoro a quell’altra. Il punto non è se questa cosa sia giusta o sbagliata, ma quanto sia aderente al nostro tempo e quanto per molti mostri una profonda lacerazione tra il suo “dentro” e il mondo fuori.

 

Un tempo i riti e il rapporto più profondo con la natura, scandivano bene alcune tappe importanti della nostra vita, ora dobbiamo ritrovare questo ritmo all’interno di noi stessi, stando attenti a fare la gincana nella società cui apparteniamo che segna le sue tappe di ferie e non e i tempi della collettività, basate sul principio economico, e non sul ciclo vitale. La crisi ecologica e la crisi Covid è un chiaro specchio.

 

Siamo strani come esseri umani, abbiamo sempre bisogno di strattoni esterni per accorgerci di dove siamo e per dare valore a qualcosa che non avvertiamo. Non a caso durante la quarantena molti hanno riscoperto il valore del tempo. 

 

Per questo Saturno e Urano, “gran tagliatore di teste” (che nel 2021 ingaggeranno una meravigliosa battaglia), s’incaricano di mostrarci la circolarità del tempo che noi non sappiamo attraversare perché siamo scollegati da noi stessi. Le crisi e il dolore ci ricordano che è il tempo interiore va ascoltato perché se non ci ricordiamo di vivere in maniera presente e totale, l’attimo passerà via rapido e potrebbero rimanere solo i minuti di recupero dei calci di rigore in cui potremmo anche sbagliare il tiro.

 

Ho pensato molto a cosa non riesco a lasciare andare nella mia vita, e del perché in molte situazioni abbia sempre voluto stare lì e giocarmi tutti i minuti della clessidra, fino all’ultimo granello. Aspettare. Agonizzare. Fino allo stremo. Nel mio caso, la mia fatica nel lasciare andare qualcosa è direttamente proporzionale a non averla mai avuta totalmente. Credo dunque che quello che certi cicli obbligati e di passaggio nella nostra vita ci presentino, è di mettere il focus non tanto su quel nostro faticare a lasciare o trasformare, ma sull’interrogarci sulla qualità e presenza rispetto a una situazione che abbiamo vissuto. C’eravamo?

 

Io sto capendo che non mi serve in verità altro tempo all’adesso, ma quello che tocca molto profondamente il mio ciclo di Saturno è qualcosa che è andato perduto tantissimo tempo fa. Il tempo dorato dell’infanzia non può tornare indietro, (sempre sia stato dorato), perché quello era il tempo giusto perché ogni cosa andasse vissuta in maniera completa: lappartenere  a una famiglia – il sentirsi davvero a casa – il sentirsi protetti. Il ritorno di Saturno tocca in maniera molto precisa il mio Saturno in Cancro in VIII Casa ripassando nuovamente per quelle antiche ferite. Tocco con mano un’altra volta la consapevolezza che l’appartenenza a una famiglia come l’avrei voluta, non l’ho mai potuta sentire ed ora più che mai, le fondamenta solide le devo rifondare io stessa su un altro terreno. La ferita dell’ammettere che il sentirmi protetta è sempre passato dal mio dover proteggere qualcun altro e infine che il sentisi davvero a casa sta passando adesso da un lasciare materialmente la casa dove abito. C’è un grande carico di richiesta dal mondo fuori (tradotto karma famigliare), che io sia ancora quella di un tempo e dia ancora il tempo che non abbiamo in verità mai avuto, né allora né adesso, che io con i minuti di recupero segni i calci di rigore vincendo tutte le partite perse allora.

 

Sto imparando che i cicli di Saturno ci vogliono rendere coscienti di cose antiche che non si erano mai lasciate andare, partite che non ci si era mai resi conto di aver già perso – e com’è liberatorio perdere se ci pensate bene perché è l’unico modo in cui poi si può ricominciare altrove e non lottare in una sconfitta fuori tempo massimo – e ogni volta, la clessidra con la sabbia colorata di Saturno ripassa sul nostro cuscino, come un piccolo Grillo Parlante ci sussurra la verità per riportarci alla nostra vera libertà di Anima: “Sei pronto ora, dai, non ti serve nessun giorno in più, molla il carico, non è tuo. E’ora il giorno perfetto per salpare. E’ questo il tempo giusto della tua vita senza più colpe”.

E tu lasci andare in un attimo tutta la zavorra dalle spalle che per millenni ti stai ancora trascinando sulla schiena e puoi aprire il tuo petto a tutta la luce che vuole entrare ma non trovava spazio.

 

Vi invito a lasciar fluire il vostro tempo interiore con dolcezza, anche attraverso questa bellissima canzone di Ivano Fossati. 

 

 

 

Anna Elisa Albanese 

 

 

 

 

 

 

C’è tempo

Dicono che c’è un tempo per seminare
E uno che hai voglia ad aspettare
Un tempo sognato che viene di notte
E un altro di giorno teso
Come un lino a sventolare
C’è un tempo negato e uno segreto
Un tempo distante che è roba degli altri
Un momento che era meglio partire
E quella volta che noi due era meglio parlarci
C’è un tempo perfetto per fare silenzio
Guardare il passaggio del sole d’estate
E saper raccontare ai nostri bambini quando
È l’ora muta delle fate
C’è un giorno che ci siamo perduti
Come smarrire un anello in un prato
E c’era tutto un programma futuro
Che non abbiamo avverato
È tempo che sfugge, niente paura
Che prima o poi ci riprende
Perché c’è tempo, c’è tempo c’è tempo, c’è tempo
Per questo mare infinito di gente
Dio, è proprio tanto che piove
E da un anno non torno
Da mezz’ora sono qui arruffato
Dentro una sala d’aspetto
Di un tram che non viene
Non essere gelosa di me
Della mia vita
Non essere gelosa di me
Non essere mai gelosa di me
(Ivano Fossati)
 
 

 

 

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