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ETTY HILLESUM

 

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ETTY HILLESUM, nata il 15 gennaio 1914, CAPRICORNO ascendente CANCRO

 

Deportata ad Auschwitz Etty Hillesum ha con sé, nello zaino, la Bibbia e una grammatica russa, lingua della madre. L’ultima cartolina postale, indirizzata all’amica Christine van Nooten, è datata 7 settembre 1943: la giovane donna la lascia cadere dal treno diretto al campo. “Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Misha. Viaggeremo per tre giorni. Arrivederci da noi quattro”. Muore ad Auschwitz due mesi dopo, il 30 novembre 1943. Muore che non ha ancora trent’anni.

Etty Hillesum trascorre l’adolescenza a Deventer, studiando nel liceo dove il padre insegna Lingue classiche. Prima di ottenere il lavoro nella Sezione di Assistenza sociale ai deportati nel campo di smistamento di Westerbork, svolge controvoglia un impiego amministrativo presso il Consiglio Ebraico, ad Amsterdam, dove si trasferisce nel 1932. Lavorare nel Consiglio esenta Etty dall’internamento a Westerbork; è lei stessa tuttavia a chiedere di andare al campo per occuparsi dei malati nelle baracche dell’ospedale: “mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo”.
Da Westerbork, ogni martedì mattina, parte un treno carico di uomini, donne e bambini diretto ad Auschwitz.

Tra agosto e dicembre 1942 Etty si divide tra il campo, Amsterdam e Deventer, dai genitori. Restare a Westerbork è il suo desiderio, vuole condividere il destino della sua gente, esserne al servizio; non accoglierà mai i tentativi di aiutarla a fuggire che pure le verranno rivolti. Del resto, con la fine dello status speciale dei collaboratori del Consiglio è anche lei costretta al campo, prima di essere deportata con la famiglia. Etty conosce quello cui sta andando incontro, ma non smette mai, nelle lettere, di parlare del proprio ritorno.

Soltanto negli anni Ottanta si è iniziato a pubblicare gli scritti – considerati a lungo troppo filosofici – della giovane donna olandese: il Diario e una raccolta di lettere che scrive a familiari e amici da Westerbork, ma anche ai compagni del campo nel tempo in cui – per ragioni prevalentemente di salute – si trova ad Amsterdam o dai genitori.”Il mio dottore si arrabbia tutte le volte che arrivo da lui con un gran sorriso sulla faccia, secondo lui è imperdonabile che si rida di questi tempi.” La bellezza del Diario di Etty, la sua importanza, è in questo “imperdonabile”; lo scandalo della bontà: “La mia penna stilografica non possiede accenti così efficaci da saper descrivere – sia pur nel modo più approssimativo – queste deportazioni. Ma se poi si va fra la gente, ci si rende conto che là dove ci sono uomini c’è anche vita”.

In molte delle sue missive Etty descrive Westerbork. Ne restituisce l’atmosfera, la miseria indescrivibile, le terribili condizioni. Racconta dei tentativi di comunicare con Amsterdam affinché facciano avere loro il pane, o chiede se sia possibile trovare beni come gli assorbenti igienici o le bende, conserve e salsicce, o un cuscino, semmai. Descrive la paura della partenza per la Polonia, il timore per il momento della deportazione senza sapere cosa vi sia ad attenderli. Etty non tralascia di vedere la realtà che ha davanti, non si nasconde e sa di dover fare i conti con la propria impotenza radicale.

Il 21 giugno 1943 racconta il doloroso arrivo dei propri genitori: “Io non posso fare nulla, non l’ho mai potuto, posso solo prendere le cose su di me e soffrire. In questo sta la mia forza ed è una grande forza – ma per me stessa non per gli altri. Io mi sento all’altezza del mio destino, ma non mi sento in grado di sopportare quello dei miei genitori”.
“Eccomi dunque nell’inferno.”

A cura di Anna Stefi, articolo completo su DoppioZero

 

Unknown

 

 

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