A essere circondati di dolore, finisce che prima o poi lo assorbi. Non lo fai apposta, ma è così. Inevitabile. Cerchi di fare schermo, resistenza, metti di fronte a te una barriera di risoluzione che va dal pratico all’efficiente, alla risposta sincronizzata ancor prima che venga posto il quesito, alla memoria visiva, alla catalogazione di problemi e allo studio analitico di ognuno, al trinceramento nel pensiero logico-causale, ma nulla.. prima che sia troppo tardi ci sei affondata dentro anima, collo pancia e polmoni. Non respiri più. Nulla è riuscito a salvarti.
Sono cresciuta parando i colpi. Non diretti a me, forse posso dire di essere stata fortunata, non ero io il bersaglio, questo mai: io ero solo il cuscinetto. Il cuscinetto è multi funzionale, argina, fa stare meglio, supplisce ed è lì, sempre e in qualsiasi momento, tra l’incudine e il martello. Non mi sono accorta per anni di avere questo ruolo, l’ho capito solo da grande, quando nella mia vita ci sono stati momenti .. anni, in cui non sapevo nemmeno dove fosse il confine tra ciò che era mio e ciò che era di qualcun altro, tra ciò che era la vita .. e la depressione, tra ciò che erano le mie forze e ciò che era un seguire la corrente con passività e rassegnazione.
Anche alla lamentela ci si abitua presto, e al pensare sia normale che chi si prende cura di te, come una madre, sia sempre in uno stato di profonda insoddisfazione e sfortuna cosmica. Ti abitui a pensare che il mondo è veramente crudele se permette tutte queste ingiustizie e ti abitui ad essere non solo spugna e cuscinetto su cui lei possa lenire le sue sofferenze, ma anche paladina e guerriera per tutte le sue guerre. Non combatti più le tue, ma forse nemmeno ne hai, perché se sei cresciuta in mezzo alle sofferenze altrui, prima vuoi risolvere quelle, poi penserai a te.
Ho cercato le risposte nelle stelle, nell’arte nella musica, nei poeti prima di me e in tutti quelli che hanno provato a buttare fuori qualcosa che arrivava da dentro, che non si poteva raccontare se non in altra forma, dipinta, disegnata, filmata, tutto, che non le semplici parole. Non so se è bastato, forse è stato solo ossigeno necessario, ancora sono una spugna. La differenza è che adesso mi accorgo di esserlo, e cerco i modi di espellere tutta l’acqua assorbita. Mi accorgo ancora che non respiro, trattengo il fiato, soffoco le parole nella gola, contraggo la schiena e penso di essere in apnea.
Devo ricordarmi di respirare.
Devo ricordarmi di non sorridere e rispondere in automatico.
Devo ricordarmi di uscire dalla modalità cuscinetto ed entrare nella mia vita. Non è automatico nemmeno adesso.
Quello che accade è che a volte sono permeata dalla tristezza. Mi avvolge come un mantello ed io mi ci lascio sedurre. Non poter salvare qualcuno che sbaglia sempre nella vita, cade e ricade e risbaglia di nuovo, e arrendersi alla propria impotenza, è stato un passaggio necessario, ma non facile. Ho dovuto spostarmi dal fuori al dentro di me e vedere che per tanto tempo era il mio dolore che era rimasto muto, ed era a lui che dovevo qualcosa. Sentirmi spettatrice di qualcosa e qualcuno per cui non posso fare molto, è divenuto poi parte del mio quotidiano, insinuato insieme a una malcelata colpa strisciante, mi sembra a giorni di venire a patti con una specie di nuvola nera, a volte è più spessa e altre volte meno, ma è lì e non si sposta.
Certi giorni vorrei volare via o scappare nel mondo dei sogni, dove per tanto tempo ho cercato bellezza, in altri invece divento macigno cinico duro e realista, perché è l’unico modo che ho di contrastare chi per tutta la vita accanto a me è stato ingenuo, sprovveduto e campato in aria.
Ho dovuto essere io l’adulta di casa e una certa spensieratezza forse non tornerà più, sto imparando a ripulire la rabbia, il risentimento, ma certi giorni di pioggia vorrei solo camminare lassù dove sono le nuvole, immergermi nel silenzio e poi ridere da qui all’eternità a crepapelle.
Anna Elisa, marzo 2018
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Una risposta
Anna Elisa mi piace molto il tuo scrivere immenso ed universale che colma e trabocca di senso e di vita