Quello che resta. Il ritorno a casa. Gennaio 2016.
Non so nemmeno bene il perchè ti rimanga addosso qualcosa, di cui anche al ritorno a casa, non riesci facilmente a liberarti; un colore, un’atmosfera, una profonda nostalgia, un eco, un riverbero di luce.
La prima volta che ho camminato in una spiaggia lungo l’oceano indiano, nella costa del Tamil Nadu, ho sentito subito degli odori che non erano propriamente quelli a cui siamo abituati. Le spiagge non sono i luoghi di villeggiatura in cui spogliarsi con un bikini striminzito e prendere il sole, o almeno, non qui. Forse a Goa, dove le feste e i luoghi turistici abbondano è diverso, ma qui no e io so che avevo assolutamente bisogno di questo. Di vedere la loro terra e il loro modo di essere e di vivere non contaminato da nessuna nostra intrusione occidentale.
Mentre proseguivo con l’andare avanti dei giorni in India, ho imparato a farmi piccola, piccola e ridimensionare ogni millimetro del mio essere, che già di per sè non ha mai abbondato di sovrastrutture molto grandi, autostima o maschere rigide, così non ho fatto molto sforzo nell’assecondare finalmente la mia attitudine ad entrare nei panni altrui, a non avere una forma di identità definita, a rimanere in disparte semplicemente a guardare e assorbire emozioni. Per lunghi anni questa stata una totale permeabilità mi confondeva e toglieva forze, una mancanza d’identità che non sapeva affermare i suoi desideri o i suoi No con determinazione era una grosso problema nell’immaginario occidentale del vincente e del numero uno, ora ne ho compreso un po’ forse del suo senso ultimo, ho potuto essere qualcosa che somiglia a qualcosa che ha a che fare con la parola fluidità.
L’acqua e le emozioni, che sostengono anche una grossa parte di tutto il mio Tema Natale ( che in India non è considerato un hobby per signore, ma l’astrologia è una cosa seria!), ha potuto diventare scorrevolezza – emozione libera che ho saputo però contenere e proteggere in me con un Io un pochino più forte di quando avevo vent’anni.
Ho potuto abbassare il mio sguardo sulla sabbia della spiaggia, con tutta la grazia e la gentilezza che avevo dentro, quando incrociavo i numerosi pescatori la mattina presto, che come nulla fosse, si calavano il loro doti dalle gambe, e senza nulla sotto, defecavano a pochi metri da me. Questa era la loro spiaggia, il loro cesso, la loro lattrina e se da generazioni e generazioni, è stata il luogo dove poter cagare in pace e lavarsi le parti intime nell’oceano subito dopo, chi potevo essere io che con il mio passo sognante, le mie idealizzazioni sull’Inda, scalza sulle rive del mare, chi ero io per poterglielo impedire? Passavo oltre, attraverso, di fianco, e il mio saper essere invisibile e leggera come una piuma, si è rivelato la scelta migliore. L’essere senza forma mi ha permesso il passaggio attraverso.
Ho conosciuto una donna svizzera in quei giorni in cui vivevo vicino al mare e non più nel caso della città, lei non usciva mai dalla zona recintata di rete che divideva, la nostra zona, dalla loro. Diceva che le metteva agitazione essere guardata, le metteva agitazione finire in situzioni che non poteva controllare e chissà cosa le sarebbe successo se si fosse trovata a pochi metri, un pescatore indiano che defecava con la massima serenità possibile e pochi metri dal suo passaggio.
Mi sono chiesta spesso cosa fosse venuta a fare in India visto che non era più uscita dai pochi metri della sua stanza e solo in qualche giro minimo sempre accompagnata e assolutamente in zone franche, ma poi ho imparato anche a rispettare la sua ansia e considerarmi fortunata nell’essere quella che sono, una porta e un passaggio, attraverso cui le cose che vedevo e sentivo, passavano, mi attraversavano e andavano oltre me.
La comprendevo totalmente la sua paura, era stata la stessa mia al mio arrivo, solo che a me, poi aveva avuto un effetto catartico, era entrata e uscita dall’altra parte, come fosse necessaria, e poi non più.
Sono riuscita a farmi penetrare dalle cose senza farle diventare ostacoli nè farle diventare macigni dentro di me. Avrei potuto anch’io non camminare più nella spiaggia dei defecatori indiani e starmene al riparo in una zona più pulita, invece no, quando arrivava l’odore o il disgusto, andavo verso l’acqua, mi sciacquavo i piedi, sentivo la terra indiana sotto di me, guardavo l’orizzonte e preoseguivo. Perchè l’aria di mare, la volevo con con tutta me stessa e di quella luce lontano dal caos della città appena lasciata avevo un gran bisogno e ho rispettato il mio desiderio. Come ho rispettato la loro abitudine mattutina.
In India le donne indiane non possono stare in costume da bagno, fanno il bagno con il sari o i loro vestiti da giorno.
I loro colori con il vento e l’acqua sono ancora più sgargianti, e l’esperienza del bagno è un rito collettivo fatto di giochi e schiamazzi mentre le onde dell’oceano buttano tutto quel peso di acque che rimpie e sforma le grandi stoffe di cui sono vestite. Forse hanno un modo totalmente diverso di gestire i pesi della vita, che anche questo non poter essere comode e libere da ingombri per un bagno, lo affrontano con tutta la naturalezza che hanno dentro.
Ho imparato anch’io a stare in spiaggia con i miei vestiti leggeri, lasciarli bagnare dall’acqua quando camminavo tra le onde senza spogliarmi. Gli indiani, non essendo abituati alle nudità e con le loro severe restrizioni in campo sessuale per le donne, si avvicinano spesso per parlarti e guardarti. Da vestita, lo fanno comunque ma in modo più delicato, che se fossi lì con le tue belle carni esposte. Spesso in gruppetti di tutti ragazzi, che se per caso incroci uno dei loro sguardi, iniziano ad uno ad uno a chiederti domande su di te e la tua vita e di fare foto con loro, e poi di uscire con te o altre proposte. Sempre nel limite del discreto, almeno a me è sempre capitato di avere episodi buffi e nel momento in cui volevo che mi lasciassero in pace, con gentilezza mi salutavano si allontanavano. Nella loro maniera bizzarra e divertita, mai l’ho sentita molesta o invasiva, anche se ho avuto racconti differenti da altre persone, episodi anche vagamente pericolosi di donne sole, io sono stata salda dentro nella mia posizione di fiducia.
La prima fiducia che ho respirato fino in fondo a me stessa il primo giorno che mi sono persa. Quel primo giorno a cui mi sono arresa alla paura, da lì in poi quella fiducia primordiale, annidata in una angolo molto profondo del mio cuore, non si è mai più spostata. L’ho fatta mia.
Non so se è stata lei a farmi una cortina protettiva che come scudo mi faceva vedere un mondo a colori, e non so se quella donna svizzera, che invece emanava ansia e pensieri angosciosi in tutti i minuti della sua giornata, finiva poi per attirare a sè altra ansia e angoscia dal mondo che le stava intorno, ma dentro di me un po’ so che è senz’altro così. Forse non era ancora il suo momento per sperimentare la potenza della forza interiore. Lo spirito che è dentro di noi, che esiste e si sente e c’è per davvero a tenerti forte quando glielo permetti.
Io sono cosciente che la nostra realtà dentro è specchio e filtro di quello che poi sarà la nostra realtà fuori.
‘Ciò che è dentro ci circonda’, dice Liz Greene e non solo lei, e mai come adesso, ho potuto sentire vera questa frase. Mi sono quindi fermata a guardare i bambini, i loro sorrisi che sono mille volte i sorrisi dei bambini che siamo abituati a vedere da noi, perchè ridono di tutto, anche solo di vederti diversa da loro, con la pelle e i vestiti diversi, diventa un’altra occasione per giocare e ridere, e la giornata nella spiaggia non è più prendo il sole e faccio il bagno, ma è trovo le giostre sulla spiaggia, i cavalli le mucche come in un film di Fellini manca solo la musica per farti sentire in un sogno fantastico di cui sei la protagonista.
Oggi quello che resta sono le emozioni che non riesci a raccontare al mondo di qua, le consapevolezze di poter passare del tempo a guardare intorno, senza fare necessariamente qualcosa, senza doverti conquistare i minuti e le azioni che qui tanto, in un mondo incentrato sull’apparenza, ci spingono a inseguire. Rimane dentro quell’odore misto di conchiglie raccolte in riva all’acqua, che sanno di mare ma anche di odori di rifiuti e chissà, anche escrementi umani, ma rimane forte la certezza che la diversità è tutta la ricchezza che possediamo, e come spesso fatichiamo ad accettare le parti puzzolenti e maleodoranti di noi, che tanto ci ripugnano perchè non sono ancora evolute, tanto spesso non sappiamo guardare gli altri senza giudizio e rispettare il loro non essere noi. So che sembra pura retorica, ma è qualcosa che ti si conficca in tutte le parti di te, quando puoi permetterti finalmente di avanzare dentro la vita, sapendo che quello che vedi, per almeno tre quarti è filtrato da te, dal tuo ego, dalla tua mente e dai tuoi modi di essere, e togliere quel te, è davvero liberatorio.
Una spiaggia sporchissima, diventa invece il luna park per i giorni di festa di donne e uomini indiani che escono dalle loro città ricolme di inquinamento, rumore e caos, e il materiale umano può sostare insieme agli animali, ai rifiuti, agli escrementi, e ai fiori, come fosse il primo Eden sulla terra.
Anna Elisa
Foto originali copyright Anna Elisa Albanese
2 risposte
Grazie anna,
quello che scrivi è sempre molto poetico e delicato. In alcuni momenti sembra che tu patisca di qualcosa ma non ti senti di prendere posizioni troppo esplicite per cui osservi e racconti l’osservato. Conoscendoti bene però mi sento di aggiungere due cose al racconto di cui mi hai parlato durante la nostra corrispondenza di quei giorni.
Mi hai parlato in modo molto ironico del rito dei 4 passi. Quando al mattino andavi in spiaggia ti capitava di incrociare lo sguardo di qualche signore che in piedi guardingo aspettava qualcosa. Indossano una sorta di pareo o gonnellone o come si chiama me lo hai detto ma ora non ricordo. Ecco che si accovacciano e fanno il loro bisogno. Se non sono soddisfatti o hanno ancora qualcosa da espletare fanno qualche passo e sempre col loro bel sorriso e liberi da pensieri eccoli riaccucciarsi per tirare fuori quello che manca. Poi alleggeriti di un paio di kg. vanno a mare e si fanno con tutta calma un sano bidet. Mi hai mostrato anche delle foto molto significative che non ti permetti di mettere sul sito perché come anticipato sei molto delicata pubblicamente.
Infine l’episodio del vecchietto magro, scuro, col bastone e barba e capelli bianchi. Quando faceva i suoi bisogni ti guardava e sorrideva, poi dopo il bidet raccoglieva delle conchiglie e te le donava. Questa vicenda accadeva tutte le volte che ti vedeva sulla spiaggia.
In effetti parlare di argomenti come questo in un luogo pieno di colori e spiritualità fa ridere e per alcuni potrebbe risultare inopportuno. Ma come hai scritto tu, fuori dalle sicurezze e dalla protezione che ti possono dare certe strutture c’è l’india di tutti i giorni, l’india degli sguardi che vivono in alcune immagini che hai postato. Ci sono quelle strade che hai percorso da sola curiosa ed appassionata alla ricerca di momenti che solo una sensibilità vivace e pura come la tua avrebbe colto.
Grazie … è vero era proprio così’. Il loro pareo è il doti… con sotto nulla, e il rito dei quattro passi com’è l’ho chiamato, ci ho messo un po’ di giorni per metterlo a fuoco e capirlo, e poi sono giunta a conclusione, che si svolgeva proprio così. Aggiungo anche che la loro cucina è pinea di legumi…. lascio dunque ampio spazio per l”immaginazione… Il vecchiettino traballante e le sue conciglie era il mio rito mattutino. Le conchiglie le ho conservate, e non so perchè ma hanno un odore ancora molto strano…… però sono belle e maestose.